Dopo l’ennesima proroga della detenzione, decisa il 2 febbraio, si dovrà ancora attendere per capire quale sarà la decisione sulla carcerazione cautelare di Patrick Zaki, lo studente egiziano dell’Università di Bologna, ormai detenuto da un anno nel carcere egiziano di Tora. Una speranza potrebbe arrivare per la richiesta della difesa di una liberazione basata sul ricovero in ospedale del padre e quindi con l’umana necessità di riabbracciare il figlio. Gli avvocati hanno presentato un certificato alla corte.
L’udienza per Patrick, detenuto dal 7 febbraio dell’anno scorso con l’accusa di propaganda sovversiva via Facebook, si è svolta come al solito all’Istituto per assistenti di polizia annesso al complesso carcerario di Tora, all’estrema periferia sud del Cairo, dove è rinchiuso il 29enne. Anche questa udienza è stata monitorata da diplomatici stranieri tra cui uno dell’Ambasciata d’Italia che ha potuto salutarlo: Patrick ha risposto ringraziandolo per la presenza che simboleggia le pressioni internazionali per una sua liberazione.
Lo studente dell’Alma Mater bolognese, forse scoraggiato dall’inutilità delle proprie auto-difese o sconvolto per aver appreso solo in aula del ricovero del padre, stavolta non ha sfruttato l’opportunità di parlare, hanno riferito gli attivisti del gruppo ‘Patrick Libero’. Per sapere quale sarà la decisione dei giudici bisognerà attendere martedì, un giorno in più di quanto avviene di solito: prima il funzionario della Procura per la sicurezza dello stato addetto alla notifica non c’è, ha scritto all’Ansa la sua legale, Hoda Nasrallah. “Questa attesa di 48 ore” è un altro atto “crudele nei suoi confronti”, ha notato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, esprimendo la speranza che i giudici tengano “conto, oltre che dei 12 mesi e mezzo di detenzione arbitraria e illegale, anche delle condizioni del papà di Patrick che sono preoccupanti”.
Già prima dell’udienza gli avvocati avevano annunciato che avrebbero puntato su un certificato medico che attesta come il genitore sia ricoverato da una settimana per ipertensione con pericolose “oscillazioni” della pressione e per diabete. I piedi troppo gonfi avevano fatto temere anche una “trombosi venosa profonda”, poi però non rilevata. Con questo quadro clinico gli avvocati hanno “sottolineato la necessità per Patrick di stare con suo padre e con la sua famiglia in queste circostanze, essendo il figlio maggiore”, hanno riferito gli attivisti. Un bisogno che si scontra però con la durezza dimostrata dalla giustizia egiziana in tanti prolungamenti della sua custodia cautelare e confermata oggi negando a Nasrallah la possibilità di parlare anche solo per pochi minuti a quattrocchi con Patrick per informarlo sulle condizioni del padre e mitigare la sua immaginabile angoscia.