Marco De Paolis, attuale procuratore generale militare, ha istruito decine di inchieste sugli eccidi di SS e Wehrmacht durante la ritirata tedesca: "Si chiude una pagina giudiziaria. E si chiude male. Nel 2014 scrissi a Napolitano per esprimere il disagio di questa giustizia trascurata e incompiuta"
“Si chiude una pagina giudiziaria. E si chiude male, in verità. Nessuno ha scontato la pena inflitta dal giudice“. Dopo che gli ultimi due criminali di guerra che parteciparono alle stragi naziste in Italia sono morti, il velo di amarezza che copre le parole del procuratore generale militare di Roma Marco De Paolis è sempre lo stesso. Già a ilfattoquotidiano.it, qualche anno fa, disse che era frustrante che l’Italia continuasse a condannare e che la Germania continuasse a non eseguire le condanne: “Il problema è politico – disse – Anche europeo”. De Paolis, prima a La Spezia e poi a Roma, ha istruito decine di processi sugli eccidi nazifascisti dopo la scoperta dell’Armadio della vergogna, dove i fascicoli erano stati occultati. E’ lui che si è occupato, tra i vari fascicoli, dei massacri di Sant’Anna di Stazzema e di Marzabotto.
Nel 2014, ricorda De Paolis, scrisse una lettera all’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano “proprio per esprimergli il disagio di questa giustizia trascurata e incompiuta”. “Certo, non sono un utopista – dice ancora il procuratore generale militare – e so bene che fare giustizia è una delle cose più difficili e certamente le condanne e le esecuzioni penali non restituiscono i propri cari alle famiglie e non esisterà mai un risarcimento – anche economico – o una condanna penale che lenirà il dolore per la perdita dei propri padri, madri, figli o fratelli. Ma qualcosa di più dalla Germania e dall’Austria si poteva e si doveva ottenere. Senza però dimenticare che anche noi avremmo dovuto e potuto dare alla Grecia, alla ex Jugoslavia e a quei Paesi dove ci siamo macchiati di atrocità e crimini di guerra, quella considerazione e quella giustizia che abbiamo chiesto a Germania ed Austria. Speriamo che questo patrimonio giudiziario e morale non venga dimenticato o disperso e possa essere conservato e tramandato ai giovani”.
“Resta ormai soltanto la cronaca e la storia”, prosegue De Paolis. “C’è da un lato l’amarezza di non aver visto concluso il lungo, difficile, tormentato percorso giudiziario. Dall’altro la soddisfazione personale di aver contribuito a dare un pezzetto di giustizia, almeno una considerazione alle migliaia di famiglie italiane che non avevano avuto alcuna giustizia e che la chiedevano da tanto tempo, invano”.
De Paolis ricorda che in dieci anni, dal 2003 al 2013, sono state messi insieme oltre 500 indagini, 17 processi, 57 condanne all’ergastolo in primo grado (molte passate – inutilmente, ahimè – in giudicato): “Restano certamente a dire qualcosa. Una piccola luce per le vittime, i sopravvissuti, i familiari. Tutte persone che non hanno mai chiesto vendetta ma giustizia. Anzi, talora anche meno: solo di essere considerate”. Non è solo una questione di esecuzione delle condanne, precisa De Paolis: “Si tratta soprattutto di indagini non compiute, processi non compiuti quando – dopo la guerra e poi anche dopo la scoperta del cosiddetto “armadio della vergogna” nel 1994 – qualcuno disse (nel 1999 e nel 2001) che tutto era finito e che non si poteva più procedere. I fatti hanno smentito questa sorta di depistaggio. Come ho detto, a La Spezia, a Verona e poi a Roma sono stai celebrati ben 17 processi. Solo qualche giornalista coraggioso – come Franco Giustolisi – levò la sua voce; altri, molti altri hanno taciuto”.