Una delle componenti più importanti dell’equilibrio climatico del nostro pianeta, ossia il sistema di capovolgimento meridionale della circolazione atlantica (Atlantic meridional overturning circulation, AMOC), di cui fa parte anche la Corrente del Golfo, non è mai stato così debole negli ultimi mille anni. Un rallentamento che potrebbe persino trasformarsi in un blocco di questo sistema di correnti, qualora si continuasse ad emettere le attuali quantità di gas serra.
Un nuovo studio pubblicato su Nature Geoscience, al quale hanno lavorato scienziati tedeschi dell’Istituto di Potsdam per la ricerca sull’impatto climatico, insieme a colleghi irlandesi della Maynooth University e inglesi dell’University College di Londra, conferma l’indebolimento del sistema di correnti già evidenziato in precedenti studi e che questo fenomeno è dovuto principalmente ai cambiamenti climatici in atto (dato che proprio il riscaldamento globale ancora più accentuato nell’Artico, sta frenando il motore principale della corrente), ma anche che le conseguenze potrebbero essere devastanti.
LE PREVISIONI – Un ulteriore indebolimento dell’Amoc, infatti, potrebbe provocare più tempeste nel Regno Unito, inverni più intensi e un aumento delle ondate di calore e della siccità in tutta Europa, per non parlare dell’innalzamento del livello del mare sulla costa atlantica degli Stati Uniti. E le previsioni, da questo punto di vista, non sono positive. Secondo gli scienziati autori della ricerca, l’Atlantic meridional overturning circulation si indebolirà ulteriormente se il riscaldamento globale non si fermerà, con una riduzione che passerebbe da circa il 34% al 45% già entro la fine di questo secolo. E questo potrebbe portarci vicino a un tipping point, ossia quel livello oltre il quale il cambiamento diviene inarrestabile e incontrollabile. Letteralmente, un punto di non ritorno.
UN EQUILIBRIO DELICATO – L’Amoc è uno dei più grandi sistemi di circolazione oceanica del mondo, alla base della Corrente del Golfo che trasporta, in superficie, l’acqua calda del Golfo del Messico verso il nord Atlantico. Man mano che sale verso il circolo polare artico, cedendo calore all’atmosfera, l’acqua diventa più fredda ma, evaporando, anche più salata e densa. Arrivata in prossimità della Groenlandia, è abbastanza pesante da affondare e riprendere il suo viaggio di ritorno verso i tropici, lasciando un vuoto che attira altra acqua calda.
Quand’è che questa specie di nastro trasportatore può rallentare o fermarsi? Quando nel Nord Atlantico affluisce troppa acqua dolce che fa diminuire il livello di salinità delle acque superficiali provenienti da sud, non permettendo loro di essere abbastanza dense da affondare. Ecco perché uno dei principali motivi indicati è lo scioglimento dei ghiacciai con grandi volumi di acqua fredda (e soprattutto dolce) negli oceani, che altera il meccanismo di affondamento.
Ma i ghiacciai non sono l’unica fonte di acqua dolce. Lo sono anche le precipitazioni molto più frequenti nell’America del Nord, mentre l’aumento delle temperature degli oceani fa il resto nel modificare quel delicato equilibrio di circolazione termoalina che è alla base dell’Amoc e che regala un clima più mite in diversi Paesi europei come Portogallo, Spagna, Francia, Irlanda, Regno Unito, rappresentando la principale ragione per cui la Scandinavia non si ghiaccia.
A CHE PUNTO SIAMO – Gli scienziati hanno ricostruito la cronologia del flusso della corrente oceanica attraverso lo studio di carote di ghiaccio, sedimenti oceanici e altri elementi. Intervistato dal Guardian, Stefan Rahmstorf dell’Istituto di Potsdam ha detto che la circolazione atlantica era già rallentata di circa il 15%, tanto che gli effetti erano già osservabili e che “tra 20 o 30 anni è probabile che si indebolisca ulteriormente e questo influenzerà inevitabilmente il nostro tempo”.
Secondo il nuovo studio, inoltre, se nelle previsioni finora elaborate un possibile punto di non ritorno sarebbe potuto avvenire solo tra diversi decenni, “le continue elevate emissioni di gas serra” avrebbero avvicinato quella possibilità. “Rischiamo di innescare un punto di non ritorno – ha detto Rahmstorf – in questo secolo”. Gli effetti si vedrebbero entro il prossimo secolo: “Le conseguenze sarebbero così enormi (anche sugli ecosistemi marini, ndr), che anche una probabilità del 10% di innescare questa rottura sarebbe un rischio inaccettabile”.