L'allarme riguarda gli 80mila italiani tra tutti quelli che soffrono di diabete (4 milioni). Oggi, a causa dell’isolamento e della conseguente riduzione delle visite, arrivano in pronto soccorso casi più urgenti per una ferita trascurata o curata male, con il rischio che si ricorra sempre più all’amputazione dell’arto per il danno ormai irreparabile
Con la pandemia, che ha rallentato gli accessi per diagnosi e controlli nelle strutture sanitarie, è scattato un nuovo allarme. Riguarda gli 80mila italiani tra tutti quelli che soffrono di diabete (4 milioni) che ogni anno sviluppano ulcere al piede. Oggi, a causa dell’isolamento e della conseguente riduzione delle visite, arrivano in pronto soccorso casi più urgenti per una ferita trascurata o curata male, con il rischio che si ricorra sempre più all’amputazione dell’arto per il danno ormai irreparabile. A sollevare questo pericolo sono i medici specialisti del piede diabetico, che richiamano l’attenzione di pazienti, caregiver e medici curanti sulla necessità di tenere monitorato lo stato del piede e di non trascurare i segnali di infezione, quali arrossamento, gonfiore, aumento di temperatura, dolore. “Le lesioni se non vengono trattate in fretta e in modo corretto provocano delle infezioni che devastano i tessuti del piede – spiega Roberto Da Ros, coordinatore nazionale del gruppo di studio sul piede diabetico della Società italiana di diabetologia e dell’Associazione medici diabetologi – Queste ferite sono causate da traumi non percepiti per la scarsa sensibilità al piede. Il diabete infatti può provocare una neuropatia periferica, associata o meno a una cattiva circolazione arteriosa e deformità. Se non ha percezione del caldo lasciando a lungo il piede vicino a una stufa elettrica il paziente si scotta, se non sente il dolore per una botta o una calzatura molto stretta continuerà comunque a deambulare ignorando lividi e vesciche”.
“Abbiamo osservato un aumento dei casi gravi in arrivo, quando ormai c’è poco da fare. Abbiamo anche la metà dei letti disponibili per la riconversione Covid dei posti – commenta Roberto Ferraresi, cardiologo e direttore scientifico del Centro del piede diabetico della clinica San Carlo di Paderno Dugnano -. Se non si interviene tempestivamente rivascolarizzando il piede con un’angioplastica, mettendo cioè un palloncino nel punto in cui l’arteria è ostruita per dilatarla e far defluire il sangue, pulendo la ferita e asportando il tessuto morto con un trattamento chirurgico, l’infezione si espande rendendo necessaria l’amputazione del piede”. Una delle complicanze del Covid, tra l’altro, è la trombosi in varie parti del corpo, compresi gli arti inferiori. “Chi soffre di piede diabetico e che ha già un deficit circolatorio ha più probabilità di andare incontro a un’ischemia dell’arto con elevato rischio di perdere piede” sottolinea Da Ros.
Il gruppo di esperti diffonderà entro marzo un documento con le raccomandazioni rivolte a pazienti, familiari (o caregiver) e medici di medicina generale per evitare il peggio. Da Ros le riassume per Ilfattoquotidiano.it. Innanzitutto: “Non sottovalutare mai la presenza di lesioni sul piede diabetico. I sintomi di infezione di cui tener conto sono arrossamento, gonfiore e aumento di temperatura del piede. In caso di febbre e di dolore in sede il paziente è già molto urgente e va portato in pronto soccorso”. L’importanza di controlli periodici. “Il piede privo di sensibilità va monitorato ogni giorno dal soggetto o da chi si prende cura di lui. In assenza di ulcere basta una visita di follow up ogni sei mesi dal medico di base, diabetologo, podologo o infermiere specializzato. Se c’è anche una complicanza vascolare o una deformità dell’arto la visita di controllo va fatta ogni tre mesi”. Per la prima lesione: “Occorre una visita in presenza dello specialista, mentre i controlli successivi possono essere effettuati da remoto tramite videochiamata”.
Il secondo appello degli esperti riguarda l’importanza di assicurare reti regionali per una presa in carico più appropriata del paziente (evitando fai da te e perdite di tempo). “Il sevizio di cura del piede diabetico, così come per tutte le patologie complesse, andrebbe organizzato secondo un modello hub e spoke, che prevede la concentrazione della casistica in centri di eccellenza e centri periferici dotati di team multidisciplinare competente” dichiara Da Ros. Alcune Regioni (Toscana, Umbria, Calabria, Campania, Emilia Romagna) hanno già approvato con delibera la costituzione di una rete sul proprio territorio. “A livello nazionale manca però una definizione omogenea del percorso di assistenza di questa patologia” fa presente infine il diabetologo. Intanto in Lombardia il consigliere regionale di Più Europa, Michele Usuelli, il 17 novembre ha presentato un’interrogazione alla Giunta guidata da Attilio Fontana in cui chiede di individuare a livello regionale i centri specializzati per il piede diabetico. Ma dopo più di tre mesi (e una sollecitazione a metà dicembre) ancora nessuna risposta.