Prevedere un “prelievo aggiuntivo sulle disponibilità finanziarie” tenute nelle “giurisdizioni non collaborative” inserite nella black list. Lo ha proposto il generale della Guardia di Finanza, Giuseppe Zafarana in audizione davanti alle commissioni Finanza di Camera e Senato nel quadro dell’indagine conoscitiva sulla riforma fiscale. La proposta, ha sottolineato Zafarana avrebbe “il vantaggio di rendere più onerosa la detenzione di ricchezze presso Stati o Territori a rischio fiscale o finanziario introducendo una sorta di costo incrementale per i servizi off shore”.

Il suggerimento del generale è senz’altro condivisibile sebbene di applicazione piuttosto complessa. Nonostante qualche timido passo in avanti, il problema principale delle “giurisdizioni non collaborative”, meglio note come paradisi fiscali, è infatti la difficoltà, talora vera e propria impossibilità, di risalire ai possessori delle ricchezze. Spesso la schermatura garantita da istituti giuridici come il trust britannico e dalle legislazioni locali che non prevedono registri, è pressoché totale. La black list o lista nera dell’Unione europea, inoltre, esclude tutti i paesi dell’Unione che hanno regimi fiscali di questo tipo (come Olanda o Lussemburgo) oltre ad aver “depennato” paesi come le isole Cayman, dopo alcune riforme varate nell’arcipelago caraibico che sono però considerate di mera facciata da molti esperti del settore.

“Trattandosi per lo più di paesi esotici e di economie non particolarmente sviluppate, è ragionevole pensare che, nella scelta di delocalizzazione, la variabile fiscale, l’opacità e il basso grado di collaborazione internazionale garantiti dalla giurisdizione ospite abbiano giocato un ruolo non secondario” ha proseguito il generale Zafarana. “Il prelievo peraltro – ha aggiunto – sarebbe assolutamente in linea con il principio di capacità contributiva, tenuto conto che la detenzione e la gestione di ricchezze in paesi noti per il loro grado di opacità presuppone una significativa forza economica, espressa non soltanto dal valore monetario delle consistenze accumulate ma anche dalla capacità di sostenere le spese connesse al meccanismo di delocalizzazione”.

nell’ottica di una riforma fiscale il generale della GdF ha affermato che sarebbe “opportuno, in primo luogo, un approfondimento sull’attuale modello di tassazione dei redditi societari, tenendo conto dei cambiamenti radicali dei modelli di business indotti dalla globalizzazione dei processi produttivi, dalla digitalizzazione dell’economia e dalla prevalenza di beni immateriali nei sistemi di produzione”. “I fenomeni di “spersonalizzazione”e di “delocalizzazione” che si realizzano, in modo del tutto peculiare, nel settore della digital economy hanno messo in discussione le nozioni tradizionali di “luogo di produzione del reddito” e di “stabile organizzazione” come sede “fissa” d’affari” ha aggiunto Zaferana.

L’Irpef assicura allo Stato un gettito che nel 2019 è stato superiore a 191 miliardi di euro“, ha ricordato il generale Giuseppe Zafarana specificando che da sola l’Irpef corrisponde al 75% delle entrate complessive da imposte dirette e pari al 40% delle entrate in toto. “Dai dati sulle dichiarazioni del 2018 – ha proseguito Zafarana – si rileva che solo il 6,3% dei contribuenti Irpef ha un reddito derivante prevalentemente dall’esercizio di attività d’impresa o di lavoro autonomo e che la maggioranza dei contribuenti Irpef detiene, in via principale, reddito da lavoro
dipendente o pensione”. Sempre con riferimento all’anno 2018, l’Istat stimano l’evasione dell’Irpef “riconducibile all’esercizio di attività d’impresa e di lavoro autonomo in 32,6miliardi,con una propensione al gap del 67,6%,di cui il 63,9% da omessa dichiarazione dell’imposta e il 3,7% da mancati versamenti, mentre l’evasione dell’Irpef da lavoro dipendente, ossia derivante dall’impiego di lavoratori “in nero” o irregolari, è pari a oltre 4,4miliardi di euro”

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