LA FELICITA' DEGLI ALTRI - 2/3
Non certo godibile. Ma neanche amabile o scorrevole. E nemmeno leggero, appassionante o invitante. Eppure emana un fascino magnetico che spinge ad addentrarsi sempre di più nella lettura. “La felicità degli altri“, l’ultimo romanzo di Carmen Pellegrino, è un libro difficile, in cui i “non detti” pesano più degli eventi narrati. Al centro c’è Cloe, una donna dall’età indefinita, che racconta la sua storia di abbandono in prima persona, un flusso di coscienza inframmezzato da continui flashback nel suo passato traumatico. I luoghi sono indefiniti così come lo è anche il tempo. Si oscilla tra Venezia (unico dato certo) e piccoli borghi, quello dove si trovava la sua casa d’infanzia, quello dove viveva la zia e quello dove si trovava la casa-famiglia in cui è stata accolta. Anche gli altri personaggi sono poco più di fantasmi evanescenti: la madre che l’ha abbandonata facendola scendere da un treno in corsa, il padre assente, il fratellino morto, il Generale, il professor T.. Rabbia, dolore, senso di colpa, abbandono, ricordo, sono le colonne portanti di questo romanzo che è la storia di un’anastilosi, come la definisce Cloe, di un restauro di sé a partire dalle macerie seminate nel corso dell’esistenza. Carmen Pellegrino scrive per sottrazione, tratteggia episodi strazianti (come quello degli gnocchi con sonnifero dati ai bimbi della casa famiglia per far accettare loro un nuovo arrivato), instilla nel lettore un senso di disagio e di fuga, riuscendo, al contempo, a tenerlo incollato alla sua scrittura priva di qualsivoglia fronzolo. Questo libro è l’emblema dei pensieri pesanti, un manifesto sulla precisa volontà di essere ombra tanto da quasi non-esistere perché tanto la felicità è, appunto “degli altri”. Voto (definitissimo): 7