Diciotto manifestanti morti e più di trenta feriti. È questo è il bilancio delle vittime delle proteste anti golpe di ieri, all’indomani della prima udienza del processo a San Suu Kyi, in Myanmar: si tratta della giornata più sanguinosa dall’inizio delle proteste.
Lo stato asiatico è da ormai un mese nel caos, da quando il primo febbraio una giunta militare, guidata dal generale Min Aung Hlaing, ha preso il potere arrestando la leader democratica Aung San Suu Kyi e i membri del suo governo con l’accusa di brogli elettorali nelle elezioni di novembre 2020.
Secondo la Bbc, la polizia ieri ha represso le sommosse non più con proiettili di gomma ma con pallottole vere, uccidendo almeno diciotto manifestanti e ferendone più di trenta. Almeno tre persone sono morte a Yangon, due nelle proteste a Mandalay e quattro a Dawei. La rete televisiva di Stato Mrtv ha riportato che la polizia ha arrestato solo ieri più di 500 persone per le sommosse.
Nonostante le proteste, continua il processo della giunta militare contro Aung San Suu Kyi che è oggi apparsa in videoconferenza davanti ai giudici del Tribunale di Naypyidaw per la prima udienza. Secondo l’avvocato difensore Nay Tu, la donna, accusata di brogli elettorali, importazione illegale di walkie-talkie e violazione della legge sui disastri naturali, ha ricevuto due nuove accuse per “violazione della legge sulla comunicazione e incitamento al disordine pubblico”. L’avvocato ha aggiunto che la sua cliente è apparsa in buona salute e ha chiesto di poter vedere i suoi legali.
Unanime la condanna dei paesi occidentali, l’Alto Rappresentante della Ue Josep Borrell ha annunciato che “le autorità militari devono interrompere immediatamente l’uso della forza contro i civili e consentire alla popolazione di esprimere il proprio diritto alla libertà di espressione e di riunione”. L’Alto rappresentante ha poi aggiungo che l’Unione europea “adotterà a breve misure in risposta a questi sviluppi”.