“Quest’animale non è nato per campare né a lungo né felice, non è il mio pet, non ha un nome, non ha una storia, non è nessuno: se qualcuno lo macella e me lo vende a pezzi al Super, io poi lo cucino, lo mastico, lo ingoio, lo digerisco, faccio né più né meno quel che fan tutti e non ditemi che non va bene”: il consumatore tipo di arrosti e spezzatini – diciamo quello che considera i vegani dei pericolosi estremisti – ha sempre pronto all’uso un decalogo di certezze e autogiustificazioni che lo culla e lo conforta, facendo dei suoi pasti quotidiani una pausa felice, un ameno porto sicuro. Quel porto al quale i 2600 bovini caricati a forza a Cartagena, in Spagna, due mesi fa, sono appena approdati: la febbre catarrale di cui alcuni soffrivano e che ne ha impedito lo sbarco a Tripoli li ha costretti a peregrinare senza meta, lontani da dio e dagli uomini e da ogni speranza di cavarsela.

Un calvario appena un po’ più turpe e adatto a far notizia di quelli che ogni giorno si ripetono – primavera estate autunno inverno – con la monotonia delle cose normali. E con la paradossale caratteristica di derivare per direttissima – questo come tutti gli altri calvari, per terra o mare che siano – da normative che celebrano in largo e in lungo, senza tema del ridicolo, il “benessere” animale.

Distribuito con generosità in tutti gli atti burocratici sugli animali da reddito (e da mangiare) che i rappresentanti dei cittadini europei riescono a produrre nel terzo millennio, il termine benessere assume in questi faldoni di minuziosi inventari e prescrizioni normative, una connotazione inedita: derisoria, spesso anche oscena. Bisogna prenderne atto: chi dichiara e scrive, e vota in Parlamento, che a vacche, vitelli, maiali, galline e conigli va garantita una soglia minima di benessere non pensa e non dice affatto che essi devono stare “bene” in accordo con la propria natura. Pensa e dice, piuttosto, che vanno loro somministrate le cure necessarie e sufficienti affinché non si ammalino e non trasmettano di conseguenza qualche disturbo al consumatore finale, noi.

Ecco allora, nel nome del “benessere”, la sfilza di miserabili garanzie presentate come trofei: dalle “libertà” del Rapporto Brambell del 1965 (libertà di girarsi, libertà di sdraiarsi, libertà di stiracchiare le zampe…) fino all’articolo 3 della Direttiva europea n. 98/58, in virtù del quale gli Stati membri “provvedono” affinché agli animali d’allevamento “non vengano provocati dolori, sofferenze o lesioni inutili”. Ecco dunque, tra i dolori e le lesioni “utili”, le gabbie, i viaggi estenuanti, il debeccamento delle galline, il trituramento dei pulcini maschi vivi, l’ingozzamento delle oche, l’allontanamento dalla madre dei vitellini appena nati, l’immobilizzazione delle scrofe, il taglio della coda e dei testicoli ai maialini appena nati (il più delle volte senza anestesia), le vacche da latte così pesanti, così sfiancate da non riuscire più ad alzarsi passati pochi anni di vita…

È una resa morale senza eguali quella che emerge dalle leggi in vigore nella civile Europa. Ora, due giovani studiose e attive conferenziere, Paola Sobbrio (laurea in Giurisprudenza) e Michela Pettorali (veterinaria a Roma), hanno avuto lo stomaco e la pazienza di leggersi da capo a fondo tutti gli atti legislativi emanati negli ultimi decenni in Ue a proposito di animali. Ne è nato un libro documentato, pacato, ragionato, senza invettive e senza moralismi, più interessante di cento saggi di politica e sociologia e psicologia comparate, un libro che tutti dovremmo leggere.

Intitolato Gli animali da produzione alimentare come esseri senzienti/considerazioni giuridiche e veterinarie, con una bella introduzione del filosofo Leonardo Caffo, il saggio di Sobbrio e Pettorali cita leggi e normative, ma in realtà parla di noi, è uno specchio che riflette con grande limpidezza sia ciò che ci piacerebbe essere sia ciò che veramente siamo. E in quale direzione, forse, chissà, potremmo andare.

Che alla maggioranza dei legislatori risulti più comodo uniformarsi al pensiero mainstream viziato da molteplici interessi costituiti dispiace, ma non meraviglia. Per fortuna, maggioranza non vuol dire tutti. Dal settembre scorso, per ciò che riguarda il trasporto degli animali vivi, è attiva a Bruxelles una Commissione parlamentare d’inchiesta sulla protezione degli animali durante il trasporto (Anit), che intende presentare nel giro di 6 mesi un Rapporto sulle violazioni al Regolamento europeo 1/2005. In realtà, non c’è solo un problema di violazioni: “È lo stesso regolamento a essere lacunoso”, spiega l’eurodeputata verde italiana Eleonora Evi, che si occupa della questione, anche lei con un occhio al futuro: “Riformarlo non sarà facile, ma l’obiettivo è quello”.

Sarà dura sì. Avendo dalla sua i cittadini, l’opera di chi punta a rivedere in modo sostanziale la legislazione esistente in fatto di animali sarebbe certo meno difficile. A chi obiettasse “Prima pensiamo agli uomini, gli animali possono aspettare”, la scrittrice francese Marguerite Yourcenar, l’autrice di Memorie di Adriano, prima donna a entrare all’Accademia Francese, ha già risposto: “Ci sarebbero meno bambini martiri se ci fossero meno animali torturati, meno vagoni piombati che trasportano alla morte le vittime di qualsiasi dittatura, se non avessimo fatto l’abitudine ai furgoni dove gli animali agonizzano senza cibo e senz’acqua diretti al macello”.

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