“Il Sars-Cov-2 ‘originale’, quello di marzo 2020, a Perugia si è ufficialmente estinto. Ormai ci sono soltanto le varianti”. Marco Cristofori, componente del Nucleo epidemiologico regionale dell’Umbria, la sua sentenza l’ha emessa giovedì scorso. La provincia di Perugia, da ieri tornata in zona arancione dopo due settimane di sostanziale lockdown, è stata la prima zona rossa della nuova fase della pandemia, caratterizzata appunto dalle varianti. Qui ormai il Covid-19 parla solo due lingue (straniere): l’inglese e il portoghese-brasiliano. Con un’evoluzione dell’epidemia ancora imprevedibile. Nonostante la situazione negli ultimi giorni sia leggermente migliorata, infatti, lunedì 1 marzo si è registrato un ulteriore incremento dei ricoveri, ben 524 – nove in più rispetto al giorno prima – 79 dei quali in terapia intensiva e 6 deceduti. Il tutto va rapportato in una popolazione totale regionale che non raggiunge i 900mila abitanti, quanto la città di Napoli. E tutto ciò in un territorio appena sfiorato dalla prima e dalla seconda ondata. Che cosa è accaduto? Dove un tempo affioravano le eccellenze sanitarie italiane, negli ultimi mesi si è puntato il dito contro le amministrazioni locali – in particolare quella regionale – per scelte discutibili, ritardi infrastrutturali e gestione infelice dell’emergenza Covid. Così, mentre si lotta ogni giorno sul filo dei posti in terapia intensiva, il dossier sull’ospedale da campo costato 4,5 milioni di euro e ancora inutilizzato è finito sulla scrivania della Procura di Perugia e della Corte dei Conti umbra.
La letalità più alta d’Italia e le varianti “sfuggite”
Fino a dieci giorni fa l’Umbria era una delle regioni con il tasso di letalità più alto d’Italia, circa il 2,3%. Ad abbassare il dato c’è la provincia di Terni, dove l’epidemia per il momento è ai livelli minimi. Perugia, invece, si avvicina al 5%. Un’enormità, frutto dell’effetto delle varianti per le quali, stando agli studi epidemiologici giunti in Regione, si è riscontrato un 30-40% di contagiosità in più rispetto alla versione “originale” del Covid. Nell’unico ospedale cittadino, il Santa Maria della Misericordia – fra i più grandi del centro Italia – a cavallo fra gennaio e febbraio si sono sviluppati focolai che hanno portato la chiusura di interi reparti. Il 3 febbraio erano 70 gli operatori sanitari positivi, la maggior parte già sottoposti alla prima dose di vaccino e qualcuno anche al richiamo. “Bisognava indagare prima le varianti, invece i campioni sono stati inviati allo Spallanzani di Roma con grande ritardo”, riferisce un medico che preferisce rimanere anonimo, per paura di ritorsioni. “Sui campioni di dicembre ci sono tracce di varianti – dice – Ma le analisi sono state richieste solo a fine gennaio. La stalla è stata chiusa quando i buoi erano già scappati”. E di anomalie e ritardi parlano anche gli esponenti di opposizione in Regione Umbria chiedendo una commissione d’inchiesta.
Terapie intensive al collasso. Agenas: “Situazione peggiore d’Italia”
L’accelerazione dei contagi pesa sulle terapie intensive. Alle ore 15 del 25 febbraio, ad esempio, il monitor del Santa Maria di Perugia segnava 28 degenti presenti nei reparti intesivi Covid sui 31 posti a disposizione e in un’altra schermata addirittura 1 solo posto disponibile. Per Agenas, l’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali, quella dell’Umbria è “la situazione peggiore d’Italia”. Qui iniziano a emergere le carenze strutturali di un territorio che, lo scorso anno, era stato solo lambito dall’emergenza vera e propria. Ilfattoquotidiano.it ha potuto visionare, in esclusiva, il piano di salvaguardia fase 3 approvato in Giunta regionale – ma non ancora protocollato – secondo cui da novembre a oggi sono stati aggiunti soltanto 3 posti di terapia intensiva in tutta la regione, in totale appena 130 sui 167 previsti. Sulla sinistra dell’ingresso principale al nosocomio, una decina di operai sono al lavoro per montare il cosiddetto Modulo Arcuri, un container da 8 milioni di euro richiesto a inizio febbraio dalla Regione all’ex commissario straordinario per l’emergenza Covid Domenico Arcuri. (sostituito ieri da Francesco Figliuolo). La struttura potrà ospitare almeno 16 terapie intensive e darà un po’ di tregua. Questi posti andranno a sostituire i 14 individuati a novembre da Guido Bertolaso presso l’ospedale “astronave” di Civitanova Marche, a 150 chilometri da Perugia.
Pd e M5s chiedono commissione d’inchiesta: “Indagare sulle responsabilità”
Come se non bastasse, in piena emergenza, in Umbria si registra anche la falsa partenza sui vaccini. La regione è terz’ultima nel rapporto fra dosi consegnate e dosi somministrate, davanti solo a Sardegna e Calabria. E la Fondazione Bill Gates, come riporta Il Corriere dell’Umbria, ha inserito la regione fra i territori a rischio. Tommaso Bori, capogruppo del Pd alla Regione Umbria e medico specializzando proprio presso il Santa Maria della Misericordia, ha chiesto una Commissione d’inchiesta per “indagare sulle responsabilità che hanno portato la nostra regione a essere maglia nera d’Italia e d’Europa”. Stessa richiesta da Thomas De Luca, capogruppo del M5s, per il quale “si impone il massimo livello di chiarezza e trasparenza rispetto alle azioni messe in campo, sulle quale riteniamo sia opportuno riflettere”. Ilfattoquotidiano.it ha provato a contattare, sia di persona si attraverso l’ufficio stampa, sia l’assessore alla Sanità, Luca Coletto, sia la presidente della commissione sanità, Eleonora Pace, ma nessuno dei due ha voluto rilasciare dichiarazioni.
Ospedale da campo, indagano la Procura di Perugia e la Corte dei Conti
Rischia invece di diventare un caso giudiziario il cosiddetto Ospedale da campo, allestito alle spalle del Santa Maria della Misericordia e, a quasi un anno dall’annuncio della governatrice Donatella Tesei – il 7 aprile 2020 – fin qui non ancora attivato. A quanto risulta Ilfatto.it, la procura di Perugia guidata da Raffaele Cantone avrebbe aperto un fascicolo sulla vicenda. La struttura, costata in totale circa 4,5 milioni di euro, è composta da 10 posti di terapia a bassa intensità, 16 di terapia subintensiva e 12 di terapia intensiva. Annunciato ad aprile, l’ospedale doveva essere pronto a settembre, ma ai primi di novembre la Regione ha esautorato la vincitrice del bando, la Emergency Solutions di Sovicille, definendone “inaccettabile” il crono programma, e ha affidato l’appalto alla Althea Italia Spa di Roma, con l’auspicio (vano) di inaugurare il 17 dicembre. Dalla documentazione in possesso de Ilfattoquotidiano.it, tuttavia, emerge che il 19 dicembre il dirigente regionale Sandro Costantini aveva scritto una dura missiva all’indirizzo di Althea, contestando la “non conformità dello shelter installato per la terapia intensiva” e diffidando “ad adeguare e a presentare le certificazioni della struttura”. Il verbale di collaudo è arrivato solo il 6 febbraio scorso, ma l’ospedale è ancora vuoto e privo dei macchinari di terapia intensiva. Sulla vicenda indaga anche la Corte dei Conti, la cui procuratrice umbra Rosa Francaviglia, nella sua relazione scrive: “È di tutta evidenza che non si verte in fattispecie di opera incompiuta, bensì totalmente inutilizzata”, che non può “prescindere dall’effettiva e concreta destinazione rispetto allo scopo prefissato a monte, integrandosi, in caso contrario, un pregiudizio patrimoniale”.
La fuga dei sanitari nelle altre regioni: solo 23 unità in più da gennaio 2020
Incrociando le testimonianze e i dati presenti sui documenti, emerge un altro dato che contribuisce a mettere in ginocchio la sanità umbra: la fuga degli operatori sanitari. Dal piano pandemico “ufficioso” approvato in Giunta regionale, emerge che in tutta l’Umbria il saldo fra congedi e nuove assunzioni nell’anno 2020 è di appena 23 fra medici e infermieri. “I concorsi per le stabilizzazioni e i nuovi ingressi sono stati fatti con grande ritardo”, spiega Marco Erozzardi, segretario sindacale di Nursind Perugia. Il risultato è stato che “nel frattempo, medici e infermieri se ne sono andati nelle altre regioni, a iniziare dal Lazio dove le procedure sono state avviate quasi subito”. L’Umbria, con poco meno di 900mila abitanti, ha un numero limitato di sanitari. Il bando “salva Umbria” di febbraio, si proponeva di reclutare 97 medici e 287 infermieri: si sono invece proposti 38 medici e 129 infermieri, meno della metà per ciascuna categoria. Abbondano solo gli oss, che però è personale non specializzato. Una sconfitta per una regione reduce dallo scandalo Sanitopoli del 2019, che tagliò le gambe alla precedente giunta Marini. Anche qui, annota la Corte dei Conti: “Non ci si può esimere dall’osservare che il fenomeno dell’esodo dall’Umbria per migrare altrove di medici specialisti e specializzandi, di tecnici e di infermieri, i quali, peraltro, si sono formati in ambito regionale, dovrebbe indurre ad attente riflessioni”.