L'ennesimo colpo mortale al regime del carcere duro potrebbe arrivare dal ricorso di un detenuto che si era visto rifiutare i colloqui via Skype con la figlia di 5 anni e che per questo si era rivolto al Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria. Il 9 marzo il tema sarà trattato in udienza pubblica
I detenuti al 41bis vogliono avere i colloqui via Skype con i figli minori. Nonostante il regime carcerario al quale sono sottoposti è stato ideato proprio per eliminare ogni contatto con l’esterno. Non è un caso che sia stato definito il “carcere impermeabile“. A decidere se i boss di mafia possano o meno vedere la famiglia via web sarà la Corte costituzionale. Il 9 marzo il tema sarà trattato in udienza pubblica. All’origine di tutto c’è il caso di un detenuto sottoposto al carcere duro che si era visto rifiutare i colloqui via Skype con la figlia di 5 anni e che per questo si era rivolto al Tribunale per i minorenni di Reggio Calabria.
Le conversazioni via Skype sono stati introdotti nelle carceri con l’emergenza Covid, in sostituzione degli incontri diretti, per evitare il diffondersi del contagio e nello stesso tempo per garantire il diritto del detenuto al mantenimento delle relazioni affettive. Li ha previsti l’articolo 4 del decreto-legge 10 maggio 2020, n. 29. Nei mesi scorsi fonti della Polizia penitenziaria avevano denunciato al fattoquotidiano.it come fosse molto difficile monitorare se i detenuti, durante la chiamata via Skype, parlassero davvero solo con i figli minori o anche con altre persone. Le norme sui colloqui Skype, tra l’altro, non fanno riferimento ai detenuti sottoposti al regime del carcere duro e proprio per questo i giudici reggini dubitano della loro costituzionalità, dubbi che investono anche lo stesso articolo 41-bis della riforma penitenziaria, visto che non prevede che i colloqui sostitutivi con i figli minorenni possono essere autorizzati a distanza, in alternativa a quelli telefonici, con modalità audiovisive.
Tutto questo per i giudici si traduce in una disparità di trattamento dei figli minorenni dei detenuti sottoposti al regime speciale rispetto a quelli dei detenuti comuni, e nella lesione dei loro diritti inviolabili, come quello di mantenere il rapporti affettivo con il genitore in carcere, a tutela del corretto sviluppo della loro personalità e del loro benessere psico-fisico . I giudici denunciano perciò la violazione di una serie di norme della Costituzione (articoli 2, 3, 30 e 31) oltre che dell’articolo 27 ,perchè fondamentale per il recupero sociale del reo è il mantenimento dei rapporti familiari e soprattutto genitoriali. Sarebbe leso anche l’articolo 117 della Costituzione, in riferimento agli articoli 3 e 8 della Carta europea dei diritti dell’uomo, che vietano pene inumane e degradanti e garantiscono il rispetto alla vita familiare. Insomma la decisione che dovrà prendere la Consulta rischia di dare un colpo mortale all’intero 41bis.
Un regime carcerario che aveva subito un pesante colpo già nel 2019 quando prima la Cedu e poi la Consulta definirono illegittimo l’articolo 4 bis, comma 1 dell’Ordinamento penitenziario. Una legge ideata personalmente da Giovanni Falcone nel 1991: è il cosiddetto ergastolo ostativo ed è una preclusione prevista per tutti i detenuti al carcere a vita condannati per fatti di mafia e terrorismo. Se non hanno mai offerto alcuna collaborazione alla giustizia non possono accedere a permessi premio e altri benefici. Per la Consulta, però, quella norma era incostituzionale perché impediva “ogni verifica in concreto del percorso di risocializzazione compiuto in carcere dal detenuto, rischiando di arrestare sul nascere questo percorso”. Il virgolettato è inserito nella relazione annuale del 2020 sull’attività della Corte, che nella parte dedicata al carcere e all’esecuzione penale, definisce di “speciale rilievo” la sentenza sull’articolo 4-bis. A firmare quella relazione era l’allora presidente della Consulta, Marta Cartabia, oggi ministro della Giustizia del governo di Mario Draghi.