“Durante la crisi di governo tutto si è fermato, ma noi intanto ci stavamo e ci stiamo ancora indebitando. Ieri abbiamo fatto tre asporti tra pranzo e cena. Stiamo tutto il giorno ad aspettare anche un solo ordine da 20 euro. Gli ultimi aiuti? Quelli del decreto Natale, circa 5mila euro. Ancora qualche mese e siamo rovinati”. Roberto Cabras, titolare di un ristorante a conduzione familiare in zona Città Studi a Milano, sta pensando di chiudere. E dovrà farlo davvero se i nuovi ristori previsti dal decreto che il governo Draghi intende battezzare “Sostegno” non arriveranno in fretta. Ora si parla di almeno una settimana per varare il testo, mentre i soldi – se tutto va liscio – dovrebbero arrivare sui conti correnti entro la fine di aprile. Tempi lunghi per chi ha ricevuto gli ultimi contributi da fondo perduto a gennaio, quando va bene. Perché, oltre a baristi e ristoratori, in attesa ci sono anche tutte le categorie rimaste escluse a causa della lotteria dei codici Ateco: dagli allestitori di fiere, che non lavorano ormai da un anno, agli agenti di commercio. Passando per fioristi e attività come le sartorie per abiti da cerimonia, affossate dalle necessarie misure anti contagio che hanno fatto rinviare eventi e matrimoni.

“Prima della crisi andavano approvati i ristori” – “La sensazione è stata quella di essere spettatori: non abbiamo capito i veri motivi della crisi ma la conseguenza è che a noi non è arrivato nulla”, racconta Lorenzo Bertamè, che ha ha aperto il ristorante sei anni fa. Prima della crisi è arrivato ad avere 15 dipendenti, già scesi a sei perché i contratti a termine non sono stati rinnovati. “A gennaio ho fatto di nuovo ricorso alla cig e sono stato costretto ad anticiparla di tasca mia perché gli aiuti non arrivavano”. E nel frattempo se prima del Covid i coperti erano 150 al giorno “ora quel numero lo faccio in una settimana, quando siamo in zona gialla”. Anche Roberto Perini, che si è messo in proprio dopo aver lavorato per due anni come cameriere, si definisce “agli sgoccioli”: la sua enoteca guadagnava sul servizio al tavolo la sera, “quindi anche la zona gialla risolve poco”. Dallo Stato ha ricevuto finora 5mila euro, meno del 10% di quanto perso in un anno: “I fornitori sono con il fiato sul collo e io devo pagare due affitti. Ora aspetto i nuovi ristori, sperando che siano calcolati in base alle perdite”.

Ma se il requisito resterà quello che si legge nelle prime bozze, cioè una perdita di fatturato di almeno il 33% nel 2020 rispetto al 2019, molti rimarranno fuori. “In estate nelle località turistiche abbiamo lavorato molto: al 33% di calo non ci arriviamo”, fa i conti Alessandro, titolare di un locale sulla costa pugliese. “E solo per capire se rispettiamo il parametro il commercialista dovrà rifare tutta l’istruttoria“. A lui gli ultimi aiuti – per il mese di novembre – sono arrivati il 12 gennaio: “E non ho avuto di che lamentarmi, sommando anche le tornate precedenti ho ricevuto una cifra importante. Ma da allora abbiamo visto solo 2.500 euro di rimborso delle materie prime acquistate a partire da Ferragosto: il famoso bonus ristorazione voluto dalla Bellanova, arrivato così in ritardo che non ci speravo più. La crisi di governo per noi è stata deleteria“. Le settimane che sono servite per risolverla, peraltro, non hanno solo congelato l’iter del nuovo decreto: hanno anche distolto l’attenzione da scadenze come quella del 16 febbraio, termine ultimo per pagare la quarta rata di contributi per il 2020: “Nessuna sospensione, quel giorno noi partite Iva abbiamo dovuto pagare”.

L’agente di commercio: “Vado avanti con i risparmi” – Poi c’è chi non vede un ristoro da maggio, come Fabrizio Bilancioni, agente di commercio che tratta soprattutto coltelleria, articoli militari e abbigliamento. “Ho avuto due mensilità di bonus 600 euro, mentre i 1.000 euro successivi non ho potuto nemmeno chiederli perché non rientravo nel parametro di calo del fatturato rispetto ad aprile 2019: del resto fatturo a trimestre, per la mia categoria era un criterio insensato”. Ora la speranza è che il decreto in arrivo fissi “paletti ragionevoli. E quello del calo di fatturato di almeno il 33% probabilmente mi escluderebbe ancora una volta”. Nel frattempo il lavoro è quasi fermo: “In questa fase vendiamo la merce per il prossimo inverno, ma i commercianti con questa incertezza non comprano. E quel poco che comprano lo pagheranno se va bene ad aprile 2022“. Come si va avanti? “Lavoro da 33 anni e avevo qualcosa da parte. Tanti colleghi non erano nella stessa situazione e a 50 anni si ritrovano a casa“.

“Il 30% dei fioristi ha chiuso” – Allo stesso modo hanno dovuto abbassare la saracinesca per sempre tanti fioristi: “Da una stima a campione risulta che l’anno scorso il 30% ha dovuto chiudere l’attività”, racconta Rosario Alfino, presidente di Federfiori. “E quest’anno temiamo che andrà ancora peggio. Le misure anti contagio ci hanno sempre consentito di restare aperti, ma tra lockdown e mancanza di eventi e cerimonie il lavoro è crollato. Nonostante questo il nostro codice Ateco non è mai stato inserito nella lista di quelli ammessi ai ristori”. Il prossimo decreto è l’ultima chance. “Ma arriva tardi, ormai troppi hanno chiuso o sono andati avanti solo indebitandosi”.

Gli allestitori di fiere: “Lockdown mai finito, da soli non reggiamo” – Ancora più nere le prospettive per gli allestitori fieristici, dispersi in una miriade di codici Ateco gran parte dei quali sono rimasti fuori dai quattro decreti Ristori. “Rispetto al 2019 ho perso l’80% del fatturato e dall’inizio dell’emergenza ho ricevuto solo gli aiuti del decreto Rilancio e quelli del bando del Mibact: in totale poco più di 16mila euro, meno del 2% della perdita“, si sfoga Emanuele Silvestri che guida la Contest di Modena, piccola impresa che si occupa(va) di allestimento per i congressi medici. “Ho resistito perché l’impresa era in salute, altri stanno fallendo. Per noi la pandemia non è stato un evento funesto passeggero ma una calamità naturale che crea una crisi strutturale. Anche perché nel frattempo le fiere si sono attrezzate per fornire servizi di allestimento in house e alla ripartenza faranno da sole”. In attesa dei dettagli sul contenuto del prossimo decreto, Silvestri spera in un rimborso parametrato ai costi fissi e non al fatturato: “Sarebbe più equo. Ci sono aziende che muovono molti soldi ma hanno una struttura leggera e quindi costi bassi, è ingiusto che prendano cifre anche superiori ai profitti pre pandemia”. L’importante è che qualcosa arrivi: “Non è possibile pensare di superare con le sole proprie forze un lockdown che, se pure dovesse andare tutto bene, sarà durato alla fine almeno un anno e mezzo. Lo sconforto di tanti di noi si tramuterà a breve nella chiusura di aziende, con la perdita di migliaia di posti di lavoro”.

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