Appartenere all’etnia rom in Italia significa, per molti, meritarsi una sorta di marchiatura, dunque di esclusione a priori. Per Ines (il nome è di fantasia), origini spagnole, e le sue due figlie, all’epoca dei fatti di 12 e 20 anni, c’è in più l’aggravante di essere donne e soprattutto di privilegiare alcuni beni primari: l’educazione per la più piccola e la salute per la maggiorenne.
Le tre donne tra il 2012 e il 2013 vivevano dentro un camper piazzato su un terreno pubblico di Civitanova Marche in provincia di Macerata. Una scelta temporanea voluta da Ines proprio in quel punto, in quanto di fronte alla scuola frequentata dalla figlia minore. Nonostante l’intero nucleo fosse incensurato, apprezzato dai residenti e nell’ambito scolastico durante il periodo trascorso in quella zona della cittadina marchigiana, è partita una campagna discriminatoria che ha finito col costringere Ines e le due figlie ad andarsene da Civitanova.
L’amministrazione comunale ha rigettato la richiesta di Ines di una residenza anagrafica e respinto l’istanza di assegnazione di un’area pubblica, per poi vietare il campeggio in area comunale. E le interessate hanno risposto. “Hanno fatto terra bruciata attorno alle mie clienti, da qui la decisione di fare causa all’amministrazione comunale per discriminazione amministrativa. Dopo tanti anni, a colpi di carte bollate, alla fine abbiamo vinto noi e credo si tratti della prima sentenza del genere in Italia. In questa storia, tuttavia, nessuno può dire di aver vinto”, spiega l’avvocato Daniele Valeri del Foro di Ancona che ha portato avanti il ricorso contro il provvedimento del Comune.
La sentenza che la Corte di Cassazione ha emesso nei giorni scorsi fisserà un precedente. I giudici della Prima Sezione Civile si sono espressi contro il Comune di Civitanova Marche, confermando il parere della Corte d’Appello di Ancona dell’agosto 2015, considerando illegittimo lo sgombero forzato della famiglia rom messo in atto dal Comune di Civitanova. L’ostinazione delle giunte di destra come di sinistra (il vento ostile per la famiglia rom ha iniziato a soffiare con la giunta di centrodestra guidata da Massimo Mobili, ma l’ordine di sgombero è stato promosso e firmato da Tommaso Corvatta, centrosinistra, nel 2013) ha finito con il provocare solo danni.
A distanza di circa otto anni hanno perso tutti: Ines e le due figlie, oggi entrambe maggiorenni; l’amministrazione comunale civitanovese, oggi di nuovo nelle mani del centrodestra con Fabrizio Ciarapica, condannata a sborsare complessivamente svariate decine di migliaia di euro per le spese legali e 3mila euro di risarcimento nei confronti di Ines e delle figlie.
“Ines e le due figlie non disturbavano nessuno – aggiunge l’avvocato Valeri – hanno vissuto in quello spazio per anni ed erano state iscritte nelle liste dei residenti in Comune. Nel febbraio 2013 Ines ha fatto richiesta di iscrizione all’anagrafe residenti che l’amministrazione comunale ha respinto, tanto da provocare la risentita reazione dell’ombudsman delle Marche“.
Secondo il Garante per i Diritti della Persona bisognava “evitare discriminazioni etniche e favorire la tutela del diritto allo studio per la figlia più piccola. Pareri inascoltati da parte della giunta comunale che successivamente ha spostato il camper e la famiglia nella zona industriale di Civitanova, in mezzo al nulla e lontana dalla scuola della bambina. L’amministrazione del tempo affermò che la presenza di ‘un’area camper per persone di vita girovaga è fonte di polemiche e discussioni’”, continua l’avvocato. Per il quale “il nocciolo della questione sta tutto lì. Il caso è detonato quando è stato dato rilievo a quella che a tutti gli effetti era una ‘Ordinanza anti-rom’ enfatizzando l’avvio degli sgomberi”.
Così alla vigilia di Natale del 2013, trasformando un ‘camper’ in un ‘campo rom’ i vigili urbani di Civitanova si sono recati nell’area di sosta ed hanno invitato la signora Ines e le due figlie ad andarsene. Il giudice di primo grado del tribunale di Macerata aveva dato ragione al Comune, poi i due gradi successivi hanno prima ribaltato e poi confermato la condanna nei confronti dell’amministrazione di Civitanova Marche.