Cinema

Festival di Berlino, Per Lucio è il dono di Pietro Marcello al genio musicale/politico di Dalla e al cinema del Novecento

Il nuovo film del regista casertano centra la carriera del cantautore bolognese a cavallo dei tre album composti con il poeta Roberto Roversi

di Davide Turrini

“Per Lucio” è un dono. Un regalo in continuità storica e formale con il proprio cinema che Pietro Marcello ha composto con inattesa delizia e offerto alla memoria dell’ancora presente tra noi Lucio Dalla. Un “film documentario di”, è scritto nei titoli di testa dell’opera in queste ore visibile in streaming per gli addetti ai lavori del 71esimo Festival di Berlino. Ed è stimolante pensare che questo cinema che a noi piace intimamente e profondamente sia prodotto dalla Rai e da Beppe Caschetto. Già perché Marcello torna a lavorare pudovkinianamente sulla contrapposizione di dettagli in fase di montaggio. Un tessuto esile, sottilissimo, quello come dire classicamente narrativo, con l’ex manager di Dalla, Tobia Righi, che prima va a rendere omaggio alla tomba dell’amico cantautore nella parte monumentale della Certosa di Bologna e poi, raccontando di Lucio fronte macchina, giunge ad un tête-à-tête con l’amico fraterno di Dalla, il filosofo Stefano Bonaga, ad un tavolino della celebre osteria da Vito. Questo lo scheletro riconoscibile, sintetizzabile, semplificabile, modello sinossi della trama. Poi c’è il cinema di Marcello.

C’è Per Lucio che è ulteriormente altro. Tre strati di immagini apparentemente differenti ma integrate. Una dialettica costruttiva, intuitiva, significante tra lo scheletro di cui sopra, stralci di repertorio con Dalla protagonista (interviste, apparizioni tv, dibattiti) e l’immancabile straordinaria pesca di Marcello negli archivi di cineteche e found footage. Così “il film documentario di” prende forma e contenuto lì davanti alle facce di sconosciuti, passanti, operai, donne con cagnolino, studenti, folle, cortei anni settanta, coppie che si baciano. E se in Martin Eden questo effetto di straniamento, sconosciuto ai più, poteva risultare sussultante e drammaturgicamente sconvolgente, ne “La bocca del lupo” sfiorava magistralmente la poeticità neorealista, in Per Lucio diventa un libertario quadro pop, una mimetizzazione compositiva che sembra come sovrapporsi al percorso creativo proprio di Dalla. Anche perché Marcello fa una cosa davvero controcorrente, quasi che nell’omaggio personale al cantautore ne mettesse a nudo un nucleo originario autentico e pulsante.

Quello che nelle biografie ufficiali viene definito perfino con un certo fastidio il periodo “politico”. Praticamente il Dalla di Marcello inizia a metà anni sessanta e finisce nei primi anni ottanta. Pressappoco da Bisogna saper perdere a Com’è profondo il mare/Balla ballerino. E soprattutto ha al centro della carriera la collaborazione, e i tre album composti con il concittadino, il poeta Roberto Roversi ai testi e lui alle musiche. Ed è come se lo anticipasse nei titoli di testa, Marcello, che il suo Dalla non sarà quello lì, riproponendo il brano che il musicista offrì per la sigla de I lunedì al cinema di Rai1. La prima serata del grande titolo hollywoodiano in tv che per almeno vent’anni ha accompagnato milioni di italiani. Lucio era arrivato lì, con il “suo” sax e il “suo” scat, all’apice del popolare in senso largo, esteso.

In Per Lucio Bonaga e Righi lo chiamano “istinto creativo”, ma anche “usare la musica per entrare in mezzo alla gente”. Il concetto di pop di Dalla nel film di Marcello diventa così definitivamente oggetto di studio per specialisti e spettacolo nello spettacolo da lucidarsi gli occhi. Un’essenza primaria musicale probabilmente racchiusa nella capacità estrema di inventare melodie attorno ai versi perentori, lungimiranti, integerrimi di Roversi. Dal 1973 al 1976, Il giorno aveva cinque teste, Anidride solforosa, Automobili, Marcello ripone centrale il Dalla più “politico” che inizia probabilmente dai cori operai in Itaca attraversa la stravaganza clamorosa di Intervista con l’avvocato (Agnelli ndr) e infine si fonde nel dolore privato che si fa pubblico proprio nel compimento finale dell’appena post Roversi in Com’è profondo il mare. Per arrivarci Marcello necessita dell’interpunzione sì di parecchi home movies, di performance fuor di censura dell’epoca, ma anche di filmati più ufficiali come l’arrivo di Pertini tra la macerie della stazione di Bologna dopo la strage del 2 Agosto. Ecco, qui Marcello compie qualcosa di estremamente intimo e politico. Sono pochi istanti, forse venti secondi. Ma per la prima volta “sentiamo” il silenzio di quelle ore. Percepiamo qualcosa che nessuno può capire ma che è rimasto nel profondo dei bolognesi, e quindi probabilmente anche per Dalla. Centinaia di mani nude che scavano tra le macerie della stazione e tutt’attorno un silenzio irreale che sembra provenire dall’aldilà. Per Lucio è un dono, dicevamo in apertura, un dono sincero e allo stesso tempo un’opera da cineasta maiuscolo. Tra vent’anni capiremo più Lucio Dalla da questo “film documentario” che da mille pagine di wikipedia. Come capiremo da questo “film documentario” cos’è stata l’essenza del cinema del Novecento più che dalle migliaia di spurie antologie che verranno scritte e girate.

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