Mi sento molto solo. Solo nel detestare il governo Draghi per ciò che è e non per ciò che dovrebbe fare, ma non fa. Solo, nel vedere segni che altri non vedono, ma, siccome è impossibile non vederli, evidentemente ignorano o non capiscono. E quando ti senti solo il pensiero corre, ovviamente, al vecchietto contromano in autostrada. Eppure questo andare in direzione ostinata e contraria a me pare logico. Quindi spieghiamo.

Il governo Draghi, fosse pure tutto di Nobel e Lincei, il che manifestamente non è, è due cose. Uno: un brutale colpo di palazzo ai danni di un governo legittimo e non sfiduciato, esercitato accampando un fallimento nella gestione della pandemia del tutto inesistente alla luce delle contemporanee esperienze di ogni paese democratico. Se di fallimento vogliamo parlare, esso è dell’Unione europea in materia di vaccini, della Germania in materia di strategia globale sanitaria. Non chiedo di credermi. Basta leggere quello che scrivono da settimane i giornali britannici, seduti su cumuli di morti ma anche di vaccini, osservatori professionali, come Munchau sul suo Eurointelligence, il direttore del Max Plank Institute o la Faz, subito dopo l’ultimo vertice Covid del governo tedesco. Ma, naturalmente, nessuno chiede la testa della Von der Leyen, forse perché Crozza non ne ha ancora fatto l’imitazione.

Del resto il governo Draghi, al netto delle tende militari al posto delle primule da archistar, fa esattamente le stesse cose del governo Conte, scuole chiuse, zone colorate, lockdown, stagioni sciistiche cancellate. Perché non c’ è altro da fare, senza vaccini. Anzi è pure in ritardo coi ristori, perché uLawrenz d’Arabia ha paralizzato per un mese la politica italiana, cioè proprio il “peccato originale” che Mattarella non è stato disponibile a perdonare a Giuseppi.

La seconda cosa che il governo Draghi è, è la conferma dell’unicum italiano, il governo tecnico o del Presidente, guidato da gente mai passata per il vaglio democratico delle urne, che arriva a mettere “a posto” le crisi che gli altri paesi occidentali risolvono con il voto. Per dare un giudizio politico pesantissimo su tutta l’operazione basta ed avanza. Ed ecco quello che, invece, il governo Draghi non è, o non è ancora, in fondo perché negarsi un po’ di sano pessimismo. Non è un governo che ha spostato a destra il baricentro della politica italiana. Fischi e pernacchie già li sento. Ma come con Salvini e i residui tossici del berlusconismo? Non ci crederete, ma mi sono accorto anche io della loro presenza. Incidono? Esteticamente da morire. Politicamente? Attendo i fatti. Per ora, salve le nomine personali di Draghi, zero al quoto.

Provo a spiegarmi. Il governo Monti, avete presente? Vi ricordate come eravate tutti felici che l’erotomane e i suoi accoliti fossero stati spazzati via dalle risate di Merkel e Sarkozy? Vi ricordate che nella sua maggioranza era entrato il Pd, spostando a sinistra gli equilibri politici italiani? Sì? Ecco.

E qui si passa ai fenomeni di invisibilità. Perché è stato fatto scendere in campo Draghi? Il domatore dei mercati? Per farmi una iniezione? Direi di no. Per far arrivare i soldini europei a chi di dovere? Perché Conte con quella maggioranza a chi li avrebbe fatti arrivare? Quali sono le realtà del nostro capitalismo costrette a vivere la dura esistenza di un oppositore di Putin o di Xi? Dopo due anni perfino i Benetton sono ancora aggrappati alle loro macerie! Allora ecco cosa io vedo, ma lo vede anche il Financial Times.

Vedo che inizia una nuova fase. Dove invece che assicurare gli austeri sui tagli dobbiamo dare agli austeri la certezza delle spese. Perché altre ne serviranno, per tutti. E si dovrà deciderle mentre finisce una egemonia perniciosa che dura dai tempi di Bush jr, che ha paralizzato un continente nell’asservimento economico agli interessi di Berlino, e nel continuo rinviare la ricerca di ogni soluzione, cosa che il vocabolario tedesco ha codificato nel verbo merkeln.

Sarà una fase positiva? Saperlo. Ma si apre lo spazio della politica. E non penso sia un caso che, dopo un decennio di protezione personale della Kanzlerin, i neofascisti ungheresi debbano adesso cercarsi una altra casa, magari coi neofascisti italiani della intangibile Giorgia. Un segno. Io lo vedo. E voi?

Così come vedo un segno nel piano economico anti Covid del governo conservatore britannico. Incrementare gli aiuti fino al 16% del Pil, quest’anno. Noi si parla del 12% in sei anni. E, pensate, oltre che a debito, i conservatori pensano di pagarlo con le tasse, portandole al 35% del Pil, un livello che non si vedeva dai governi laburisti degli anni Sessanta. Facendo risalire il prelievo sugli utili di impresa dal 18% al 25%. Un rialzo, dopo 46 anni consecutivi di ribassi! È un segno, io lo vedo, e vedo che Martin Wolf lo considera ancora insufficiente.

Come vedo i quasi due trilioni di Biden, ed un dibattito tra economisti di sinistra sul rischio di inflazione, se si iniettano nel sistema 1400 dollari di aiuti cash a chiunque, colpiti o meno dalla crisi. Dove ci si chiede solo se sarebbe invece meglio spenderli subito in investimenti, oppure se una misura così popolare apre lo spazio per vincere le elezioni di Midterm e proseguire poi con un altro piano di investimenti. Un segno. Io lo vedo. E vedo che i teorici del debito pubblico che crea la crisi, Rogoff e Reinhart, adesso dicono che in guerra non contano i trilioni, conta solo vincere. E vedo Joe Biden dire ad Amazon di non provare nemmeno ad ostacolare la sindacalizzazione dei suoi dipendenti, il primo presidente a dirlo dai tempi di Reagan. E vedo la Warren riproporre la patrimoniale da 300 miliardi sui miliardari, e la America rinunciare al safe harbour per gli over the top di Internet. E non mi curo di Giavazzi e della Bocconi, se vedo che quelli che, a Chicago o Princeton ad Harvard o Yale, scrivono i testi che loro traducono sono ormai tutti schierati da un’altra parte.

Ed è qui in questo mondo di segni che si trova ad operare Draghi. Uno di quelli che partecipano all’elaborazione del sistema e insieme uno di quelli che lo fanno funzionare come si è deciso che funzioni. E qui che il giudizio diverge con tanti con cui sono stato d’accordo per anni. Perché penso che il pendolo neoliberista sia arrivato alla fine del suo arco. Non è il sol dell’avvenire, è solo che non conviene più. E questo fa tutta la differenza del mondo. Perché se la corrente va in quella direzione puoi essere Allende o Berlinguer, Mitterand o Palme, Callaghan o Tsipras, combatterai solo battaglie di retroguardia, cedendo spazi e diritti magari morendo per difenderli.

Se la corrente va in quella direzione puoi avere lo sguardo lungo dei no global, dei no logo, degli Occupy Wall street e non andrai da nessuna parte, se non in fuga dagli idranti della polizia. Se la corrente va in quella direzione ti verranno serviti piatti adulterati, da Clinton a Blair, da Craxi a Renzi. Ma se la marea si inverte, anche per cinico bisogno, si può tornare a nuotare. Non più pesci spiaggiati e boccheggianti. Certo bisogna reimparare a farlo. Con chi hai a disposizione, in attesa di Phelps e della Pellegrini. In questo non mi sento solo. Due che sguazzano, per quello che valgono, ci sono: Grillo e Conte. Forse non sono solo, forse sono un Elevato.

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