Cronaca

“Parte la terza ondata: casi aumentano in 94 province su 107. Zone rosse locali in ritardo”. Il monitoraggio di Gimbe sul coronavirus

La fotografia scattata dal monitoraggio settimanale della Fondazione restituisce un nuovo allarme sulla capacità di anticipare la crescita della curva epidemiologica: "Nel nuovo Dpcm - sintetizza la Fondazione - nessuna nuova strategia per contenere l'epidemia". Il presidente Cartabellotta: "Gli amministratori locali continuano a ritardare le chiusure se non davanti a un rilevante incremento dei nuovi casi, quando è ormai troppo tardi"

I numeri sono inequivocabili: “Parte la terza ondata”. E la risposta, di fronte alla “vertiginosa accelerazione” impressa dalle varianti, è un “temporeggiare inutilmente” nell’istituire le zone rosse locali, mentre i numeri sono “in crescita” sul fronte degli ospedali e delle terapie intensive. La fotografia scattata dal monitoraggio settimanale della Fondazione Gimbe restituisce un nuovo allarme sulla capacità di anticipare la crescita della curva epidemiologica: “Nel nuovo Dpcm – sintetizza la Fondazione – nessuna nuova strategia per contenere l’epidemia, eccetto l’ennesima battuta d’arresto per la scuola”. Mentre la campagna vaccinale “non decolla”. Nel periodo 24 febbraio-2 marzo, il report segnala un netto incremento dei casi, pari al 33%: da 92.571 a 123.272. Numeri che portano di riflesso alla crescita dei casi attualmente positivi (passati da 387.948 a 430.996, +11,1%) e spingono a un incremento della pressione sugli ospedali. I ricoverati con sintomi crescono da 18.295 a 19.570 (+7%) e le terapie intensive da 2.146 a 2.327 (+8,4%).

“Per la seconda settimana consecutiva – afferma il presidente di Gimbe, Nino Cartabellotta – si registra un incremento dei nuovi casi che negli ultimi 7 giorni supera il 33%, segnando l’inizio della terza ondata”. Rispetto alla settimana precedente, in 16 Regioni e nella Provincia autonoma di Trento aumentano i casi attualmente positivi per 100.000 abitanti e in tutto il Paese sale l’incremento percentuale dei nuovi casi ad eccezione della Provincia autonoma di Bolzano, Umbria e Molise, le tre aree già sottoposte a severe misure restrittive. Sul fronte ospedaliero, l’occupazione da parte di pazienti Covid – sottolinea il monitoraggio – supera in 5 Regioni la soglia del 40% in area medica e in 9 Regioni quella del 30% delle terapie intensive.

Numeri spinti dall’alta circolazione delle varianti, confermata dall’indagine dell’Istituto Superiore di Sanità che ha stimato, al 18 febbraio, la prevalenza della variante inglese al 54% e l’espandersi di quella brasiliana in alcune aree del Paese. “Con la situazione epidemiologica in rapida evoluzione – commenta Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione – la diffusione attuale è sicuramente maggiore ed è pertanto fondamentale essere realmente tempestivi nell’istituzione delle zone rosse a livello comunale e provinciale”. Nel dettaglio, spiega il monitoraggio, nella settimana di osservazione si è registrato un incremento percentuale dei nuovi casi rispetto ai 7 giorni precedenti in 94 province su 107 (87,6%), con valori che superano il 20 per cento in ben 65 Province (clicca sull’immagine). “Nonostante l’allerta lanciata dalla Fondazione Gimbe già da due settimane – dice ancora Cartabellotta – gli amministratori locali continuano a ritardare le chiusure se non davanti a un rilevante incremento dei nuovi casi, quando è ormai troppo tardi. Infatti, in presenza di varianti più contagiose, questa “non strategia” favorisce la corsa del virus, rendendo necessarie chiusure più estese e prolungate”.

Intanto, le vaccinazioni non decollano: “L’avvio della campagna vaccinale fuori da ospedali e Rsa – spiega Gili – ha determinato una frenata sul fronte delle somministrazioni, con quasi 2 milioni di dosi (pari al 30% delle consegne) ancora inutilizzate”. Si rilevano inoltre rilevanti differenze tra i diversi vaccini: mentre le somministrazioni di Pfizer si attestano all’89% delle dosi consegnate, quelle di Moderna e AstraZeneca stanno infatti procedendo più lentamente. Di quest’ultimo è stato inoculato solo il 26,9% delle dosi disponibili: “Spia di problemi organizzativi nella vaccinazione di massa, anche se non si possono escludere possibili rinunce selettive a questo vaccino o ritardi nella rendicontazione dei dati”, sottolinea la Fondazione. “Peraltro a differenza dei vaccini di Pfizer e Moderna – spiega Cartabellotta –per i quali, visti i ritardi nelle forniture, è prudente mettere da parte le per il richiamo previsto rispettivamente a 3 e 4 settimane, per AstraZeneca è possibile somministrare la seconda dose sino a 12 settimane: non esiste quindi alcuna ragione per accantonare le dosi, ma bisogna invece velocizzare le somministrazioni”.

Tuttavia, ad avviso di Cartabellotta, la strada per accelerare la campagna vaccinale “non deve certo portare ad avventurarsi in rischiosi azzardi, come l’ipotesi di somministrare un’unica dose di vaccino Pfizer o Moderna. In assenza di robuste evidenze scientifiche che permettano alle agenzie regolatorie di modificare le modalità di somministrazione del prodotto si tratterebbe di un uso off-label del vaccino, con risvolti sul consenso informato e sulle responsabilità medico-legali”.