Tutti i bambini che hanno raccontato di essere stati molestati sono stranieri. E non è un caso, perché, come sottolinea il giudice per le indagini preliminari, è probabile che l'uomo scegliesse "prede" non perfettamente in grado di parlare l’italiano. La procura, chiedendo di archiviare il caso, ha riportato le testimonianze delle madri italiane che accusavano le autrici delle denunce di essere "straniere non molto integrate col resto della classe". Una tesi smontata dal gip che ha ordinato di formulare entro dieci giorni l'imputazione
“Ricordati che la pecora, la mucca, il cavallo hanno la coda…ma poi, quando il cavallo si arrabbia…”. Lo sussurrava, nell’orecchio di uno dei bimbi, il custode della scuola materna, per poi, rivolgersi alla madre del piccolo e mimare il gesto del taglio della gola. Quella minaccia, proferita dal bidello nel cortile dell’asilo, ha spinto quella mamma – la prima di otto – a denunciare una serie di molestie e violenze alla polizia, facendo nascere un’indagine che ha scoperchiato un mondo di orrori e di forme (più o meno velate) di discriminazioni.
In questa storia l’indagato principale è un bidello (andato da poco in pensione), accusato di violenza sessuale su minori. Nella vicenda, che emerge adesso dopo 22 mesi di indagini, gli inquirenti mettono a confronto due gruppi di madri: “le straniere”, donne di origini nordafricane e centro africane, le mamme delle piccole vittime, che denunciano gli abusi dei loro bambini (di cinque e sei anni). E le “madri italiane”, che, sentite dalla procura, etichettano le prime come “donne che non si integrano”, ribadendo che nell’asilo andava tutto bene e che il custode “era una brava persona”.
Una tesi smontata dal gip di Torino Alfredo Toppino, che, ribaltando la stessa tesi della procura – i pm avevano chiesto l’archiviazione del caso – ha ordinato, il 1 marzo, di formulare entro dieci giorni l’imputazione per il bidello e approfondire le indagini. “Le testimonianze dei bambini sono genuine“, scrive il giudice, riportandone alcune. “Mi fa i giochi – diceva una vittima – mi dice le parolacce. Nel giardino si tira giù i pantaloni e le mutande. Ci chiama neri e ci picchia”. “Quando viene si toglie i vestiti – raccontava un altro bimbo – dice che lui è forte e ci fa vedere il… Noi scappiamo, non ci piace vedere“.
Tutto inizia un pomeriggio del maggio del 2019, quando uno dei piccoli alunni di un asilo comunale mostra segni di disagio. Non vuole più andare a scuola, è inquieto, e quando vede il custode cambia atteggiamento. La mamma, insospettita, va dal bidello a chiedergli se qualcosa non va. E l’uomo, come risposta, le fa il segno di tagliarle la gola, mentre minaccia il piccolo, sussurrandogli nell’orecchio una filastrocca perversa. La madre, assistita dalle avvocate Stefania Agagliate e Silvia Bregliano, si presenta in commissariato Dora Vanchiglia il pomeriggio dello stesso giorno in cui riceve minacce. Sporge denuncia, la seguiranno in otto. Secondo il gip quel numero è destinato a salire: “Ci sono altri bambini coinvolti che devono ancora essere identificati“. Tutti i bambini molestati sono stranieri. E non è un caso, perché, come denota il giudice, è probabile che il presunto pedofilo scegliesse “prede” non perfettamente in grado di parlare l’italiano. Ma quei bambini, alla fine, si sono confidati, svelando una serie di reati ed esprimendosi in maniera molto precisa durante l’incidente probatorio. Proprio perché le loro dichiarazioni sono “circostanziate e genuine”, il gip denota “un quadro di indizi gravi e sufficiente” per portare a processo il bidello. Se il giudice non si fosse opposto alla richiesta di archiviazione della procura, il caso sarebbe finito nel nulla.
“Le madri straniere sono tacciate di non essersi integrate e di avere accusato falsamente il custode italiano: è un sostanziale schieramento di natura etnica non imparziale. E vi è l’assenza di qualsivoglia valenza probatoria delle dichiarazioni delle madri italiane”. Lo denunciano, in un passaggio dell’opposizione alla richiesta di archiviazione della procura, le avvocate Agagliate e Bregliano (che assistono tre famiglie), che da quasi due anni lottano per fare emergere gli abusi, andando contro i pregiudizi e quel “senso di razzismo”, a volte evidente nelle dichiarazioni di alcuni testi, meno palpabile nel sotto testo di alcuni passaggi dell’inchiesta. Nella richiesta di archiviazione, veniva scritto che le testimonianze delle vittime sarebbero state “frammentarie e influenzate dai racconti della madri”. La procura sottolineava che la rappresentante di classe, italiana, sentita come teste dalla procura, aveva ribadito: “Nessuna altra mamma ha sentito dai figli notizie analoghe. Le madri che hanno denunciato questi fatti sono straniere non molto integrate col resto della classe”. Anche altre testimonianze di genitori italiani venivano riportate per evidenziare che “se davvero nell’asilo fosse successo qualcosa di così grave, si sarebbe saputo”. Quindi, concludeva la procura: “Gli elementi indiziari raccolti a carico dell’indagato non paiono sufficienti a sostenere l’accusa in giudizio”.
Il gip ha ribaltato questa tesi, partendo dai fatti: “I racconti dei bambini sono genuini, hanno natura concordante e omogenea”. In secondo luogo, scrive: “E’ impossibile che le madri abbiano influenzato i racconti dei figli e degli altri genitori, perché hanno denunciato il pomeriggio stesso: non vi sarebbe un lasso temporale sufficiente”. Dunque, per il bidello (che nel pc conservava filmati pedopornografici con 13enni) va richiesto il processo. E non solo. Conclude il giudice, riguardo a una maestra: “Le sue dichiarazioni debbono essere attentamente valutate anche in rapporto alla singolare ritrosia“. Dopo ventidue mesi, le madri e i bambini sono stati creduti.