Al centro dell'incontro tra i ministri e la Vestager anche l'erogazione di nuovi fondi pubblici e l'uso del brand Alitalia. Se Bruxelles dovesse dare il via libera al piano, la nuova compagnia, sotto il cappello di Ita, avrebbe la metà dei lavoratori attuali: solo piloti e assistenti di volo. Niente personale di terra e della manutenzione. Così la compagnia diventerà poi appetibile nell'ottica di una successiva vendita
Flotta ridotta a 45 aerei dagli attuali 104, trasferimento delle attività alla newco Ita senza gara pubblica, due o al massimo tre miliardi di fondi statali. Più l’uso del brand Alitalia. Sono questi i quattro punti chiave del salvataggio dell’ex compagnia di bandiera su cui i ministri del governo di Mario Draghi insisteranno nell’incontro di venerdì 5 marzo con la commissaria europea alla Concorrenza, Margrethe Vestager. Fondamentale per l’esecutivo è spuntare l’ok a procedere senza una gara pubblica che richiederebbe circa sei mesi di tempo. Tempo che Alitalia non ha a disposizione visto che l’ex compagnia di bandiera brucia ormai 50 milioni al mese e che, in generale, le prospettive per il trasporto aereo sono tutt’altro che rosee. Secondo indiscrezioni, inoltre, Alitalia avrebbe bisogno di altri 200 milioni che però l’esecutivo non è disposto a sborsare.
Se Bruxelles dovesse dare il via libera al piano, la nuova compagnia, sotto il cappello di Ita, avrebbe la metà dei dipendenti attuali: si passerebbe da 11mila ad al massimo 4.500 dipendenti esclusivamente del ramo “aviation”, cioè piloti e assistenti di volo. Niente personale di terra e della manutenzione, dunque. Esattamente come avrebbe voluto Lufthansa nel 2019. Con il risultato che Ita diventerà poi appetibile nell’ottica di una successiva vendita. “La Vestager accetterà solo se si tratterà di una aviolinea molto piccola – spiega Antonio Amoroso, segretario generale Cub trasporti – Il solito piano della ‘miseria’: licenziamenti, smembramento e ridimensionamento. Altro che rilancio promesso durante l’intera legislatura da due governi consecutivi. Eppure un’altra strada con il ritorno degli asset allo Stato a titolo di restituzione del debito contratto sarebbe stata possibile”.
Inoltre il progetto, che potrebbe entrare nella fase operativa il primo giugno, ridimensiona ulteriormente l’ex compagnia di bandiera rispetto al piano presentato a fine dicembre a Bruxelles quando si prevedeva una flotta da 52 aerei con almeno 5.200 dipendenti. Del resto, da allora, lo scenario del settore non è di certo migliorato con il turismo messo in ginocchio dalla pandemia. Resta da capire che cosa accadrà agli altri rami di azienda dell’ex compagnia di bandiera: le attività di handling, e cioè i servizi in aeroporto, e la manutenzione. I due comparti, che saranno legati da Ita con dei contratti di servizio, dovrebbero restare nelle mani della vecchia Alitalia. Con il commissario Giuseppe Leogrande che avrà l’ingrato compito di tentare un ricollocamento attraverso una gara pubblica. Non è chiaro se Ita potrà partecipare al bando per handling e manutenzioni dal momento che beneficerà di denaro statale.
Per ora l’unica certezza è che sta per materializzarsi lo spezzatino Alitalia cui sono fortemente contrari i sindacati, che sostengono la necessità di una nazionalizzazione anche come contropartita ai fiumi di denaro pubblico finora spesi per tenere a galla l’ex compagnia di bandiera. Questa soluzione però è fortemente osteggiata da Giancarlo Giorgetti e più in generale, dalla Lega. Anche perché negli anni Alitalia è diventata il simbolo dello sperpero di denaro pubblico nella gestione di una società privata. Secondo quanto ricostruito dal Sole 24 Ore, il conto complessivo dei salvataggi Alitalia avrebbe ormai raggiunto i 12,7 miliardi in 46 anni di vita.