Scienza

Covid, l’ipotesi dell’ivermectina come una potenziale terapia. Santin (Yale): “Può essere il game-changer”

Antivirale, anti-aggregante e antinfiammatorio. I meccanismi del farmaco spiegati dal direttore dello Smilow Center di Yale University

“L’ivermectina può davvero essere il game-changer contro Covid 19, funziona, ormai la letteratura sta andando in un’unica direzione”. Alessandro Santin, direttore dello Smilow Center di Yale University, con 300 pubblicazioni “peer-reviewed” in carriera, è autore delle linee guida adottate in tutto il mondo occidentale su alcuni rari tipi di patologie tumorali, da due mesi sta prescrivendo ivermectina ai suoi pazienti. Fino a metà gennaio era impossibile prescrivere questo farmaco negli States, poi Fda (Food and drug administration), Nih (National Institutes of Health) e Cdc (Centers for Disease Control and Prevention), le tre principali istituzioni in materia sanitaria statunitensi, hanno cambiato la loro raccomandazione sul farmaco dopo aver ascoltato in Commissione Sicurezza Nazionale in Senato, Pierre Kory (medico specialista di unità terapia intensiva dell’Aurora Medical Center di St. Luke

Le prove portate in Senato dal dottor Kory ha convinto la Nih ad annunciare un cambio repentino nella sua posizione su l’ivermectina da “contro” a essenzialmente “neutrale, in attesa di ulteriori dati di prova”, che poi è la stessa dichiarazione attuale che permette di utilizzare gli anticorpi monoclonali (somministrati in tutti gli Stati Uniti e recentemente anche in Italia). “I risultati con l’ivermectina sono estremamente significativi dal momento che sono positivi sia gli studi randomizzati dove è stata usata come profilassi in Argentina: sugli operatori sanitari nessuno dei 788 che assumevano 12 mg di ivermectina una volta alla settimana si è ammalato di Covid contro il 58% (237) dei 407 soggetti controllo, sia quelli che l’hanno utilizzata nei malati Covid con forme più o meno gravi di infezione prevenendo l’ospedalizzazione nei pazienti trattati a domicilio o l’ulteriore aggravamento se ricoverati in ospedale – e aggiunge il direttore – “devo ammettere che fino a due mesi fa non ci credevo tanto nemmeno io, ma la scienza si basa sull’evidenza e le pubblicazioni sull’ivermectina danno un messaggio chiaro di attività clinica, tant’è che la sto prescrivendo anche io come oncologo ai miei pazienti con Covid e noto risposte rapide, nel giro di 24-48 ore migliorano radicalmente tutti la loro ossigenazione”. È importante capire quali siano i principali meccanismi d’azione del farmaco: antivirale, anti-aggregante e antinfiammatorio.

IL MECCANISMO ANTIVIRALE – “La teoria alla base del “meccanismo d’azione principale è che l’ivermectina si attacchi sulla proteina Spike1 (gli spuntoni) di Sars-Cov2 e in diversi punti strategici usati dal virus per legarsi ed entrare nelle nostre cellule, per questo a differenza degli anticorpi monoclonali può funzionare anche contro le varianti – inizia a spiegare il primario di Yale University -, così facendo impedisce al virus di agganciarsi all’ACE2 – la proteina transmembrana che riveste alcuni tipi di cellule ed è la principale delle nostre porte d’entrata del virus –, è come se hai una chiave e ci metti sopra un pezzo di stoffa, così non entra più nella toppa, e se il virus non riesce ad entrare nelle nostre cellule, resta in balia del sistema immunitario che se ne può sbarazzare molto più facilmente – e conclude – ivermectina è in grado di rompere rapidamente il legame tra il virus (la chiave-Spike) e i suoi recettori (la porta di ingresso ACE2, ma anche gli acidi sialici e il recettore CD147), e così i pazienti cominciano a respirare e ossigenarsi di nuovo in modo appropriato”.

IL MECCANISMO ANTI-AGGREGANTE – La regione proteica del virus S1 – ovvero gli spuntoni del virus, per capirci – si aggancia ai nostri recettori ACE2 ma non solo, “ci sono anche altri recettori di aggancio importantissimi, quelli che si basano sull’acido sialico e sul recettore CD147 – continua Santin – il virus si aggancia ai globuli rossi e alle piastrine perché sono entrambi rivestiti di recettori di acido Sialico e CD147. Pensa al virus come fosse un “cappotto” e l’acido sialico come un “appendiabiti”: è così che il virus si “aggancia” e si fa portare in giro nel nostro corpo per potere poi sganciarsi negli endoteli (la parte interna dei nostri vasi sanguigni) e qui causare vasculite sistemica, che è il motivo per cui alla fine soccombiamo – prosegue lo scienziato -, quando il virus si replica dentro le cellule endoteliali dei vasi li infiamma e crea degli aggregati adesivi di globuli rossi e piastrine – delle masse dense, immagina una sacca di palloni che si incollano l’uno sull’altro creando delle strutture molto ingombranti, (dei piccoli coaguli) – è questo che inizialmente ostacola la circolazione – e continua – è la ragione per la quale dopo un po’ non respiriamo più (o meglio non ci ossigeniamo più), e tutti i nostri organi come il cervello, il fegato, i reni e il cuore, soprattutto negli anziani e nei diabetici cominciano a soffrire per la mancanza di ossigeno”.

IL MECCANISMO ANTI-INFIAMMATORIO – Ad oggi esistono più di 30 studi clinici positivi (molti sono prospettici e randomizzati altri di osservazione) completati ovunque nel mondo che dimostrano l’efficacia clinica dell’ivermectina contro il Covid19, la letteratura ha dimostrato per ora che “l’ivermectina, è dotata di un potente effetto anti-infiammatorio simile a quello dei cortisonici ma non immunosoppressivo come quello dei cortisonici (e quindi la risposta immunitaria delle cellule T e quella delle cellule B (produttrici di anticorpi) continua a svilupparsi durante l’uso dell’ivermectina, agendo sul fattore di trascrizione NF-KB (che da l’informazione al nostro corpo di produrre citochine e causa una vera e propria tempesta citochinica quando iperattivato dal Covid), proprio per questo motivo il farmaco agirebbe anche in fase avanzata della malattia”.

IVERMECTINA E I LONG HAULERS (SINDROME COVID A LUNGO TERMINE) – Il farmaco sembra funzionare anche sui “long houlers”, ovvero quel 10-15% della popolazione che dopo aver superato il Covid 19, spesso di grado lieve o moderato (nella maggioranza non aveva reso necessario il ricovero), non sono poi più riusciti a tornare alla normalità per la persistenza di sintomi debilitanti, anche dopo 9-12 mesi, né a respirare come prima né a fare sport. “Il motivo è che il virus resta probabilmente nascosto, in questi soggetti, nei capillari/endoteli, per mesi e mesi. Questi individui hanno una carica virale bassa, non rilevabile al tampone e non sono infettivi. Ma continuano ad avere “uno stato di infiammazione permanente, attivato dalle sentinelle del nostro sistema immunitario – puntualizza il professor Santin – le mast cell (mastociti) localizzate nei vasi sanguigni, che percepiscono ancora la presenza del virus. Ho trattato e sto trattando pazienti “long haulers”, persone che da un anno stanno male e che non respirano bene, che hanno provato di tutto senza migliorare. Entro due settimane dall’inizio di ivermectina – ma già dai primi giorni ci sono miglioramenti -, senza praticamente nessun effetto collaterale, queste persone hanno riniziato a vivere – e conclude -, il virus è un parassita intracellulare, solo se entra nelle nostre cellule può usare la macchina cellulare per replicarsi. Se non può entrare, e hackerare il nostro sistema immunitario, allora resta fuori, sullo zerbino e viene attaccato dal nostro sistema immunitario molto più facilmente”.

Lo studio su medrxiv

Lo studio su Pubmed