In un lungo post su Facebook il direttore del TgLa7 dice la sua sulla kermesse: "Per me non hanno senso tutte le considerazioni sugli ascolti e la qualità di questa edizione del festival. Non sono possibili paragoni. Chiunque abbia dimestichezza con un palcoscenico sa bene che il pubblico non è un optional"
Enrico Mentana in difesa del Festival di Sanremo? Quasi. Il direttore del TgLa7 ha fatto un post su Facebook che toglie di mezzo tutti i paragoni tra lo share di questa edizioni e le precedenti: “Per me non hanno senso tutte le considerazioni sugli ascolti e la qualità di questa edizione del festival. Non sono possibili paragoni. Chiunque abbia dimestichezza con un palcoscenico sa bene che il pubblico non è un optional: tutti i protagonisti storici dello spettacolo italiano, da Eduardo a Totò, da Gassman a Sordi e Tognazzi, da Celentano e Mina ai comici o le band delle ultime generazioni, sono arrivati alla fama anche televisiva e cinematografica dalla dura e decisiva trafila attraverso teatri, arene, spazi all’aperto“. E ancora: “Quando si citano i ‘tempi teatrali’ si intende anche il riscontro del pubblico, la sua reazione, il su o umore, il suo rumore. È il feedback immediato di ogni acuto, di ogni battuta, il tonico di un applauso, di un’ondata emotiva, di una risata; e anche di un silenzio gonfio di attenzione. Chi canta, chi suona è caricato elettricamente da quell’attesa, da quella partecipazione, da quel coinvolgimento. Ma ancor di più il pubblico ‘in presenza’ (locuzione che considero un danno collaterale del Covid) è indispensabile per i dialoghi, i duetti, per la possibilità di ammiccare e di cercare la complicità di chi guardi e ti guarda dalla platea, guida comportamentale e termometro anche per il pubblico da casa, oltre che per chi è in scena. Banalmente, per capire se lo sketch funziona, se la battuta era centrata, se il monologo ha toccato o commosso”. Poi, la conclusione: “I grandi repertori si sono sempre costruiti così con la sapienza nell’accumulare ciò che funzionava e affinare o abbandonare quel che stentava. A poltrone vuote tutto questo è impossibile, e l’unica accortezza che si può avere è riproporre quel che è già patrimonio comune ‘da prima’, quel che sai che funzionava e quindi dovrebbe funzionare ancora; le cover e le vecchie glorie, il vintage musicale e non solo. Sapendo che solo sul palco si capisce se un momento è davvero straordinario: come in campo, negli stadi vuoti e rimbombanti, dove un colpo di tacco o una grande parata non hanno più il riscontro di sempre, quel tempo di degustazione comune del boato o del battimani, e nessun ruggito dagli spalti accompagna più un gol. Guardando le partite, come guardando Sanremo, sentiamo che manca qualcosa: ma non è colpa dei giocatori”