Questa terza serata si apre con la tremenda consapevolezza che si esibiranno tutti e 26 i big in gara e che la fine del programma per le due del mattino sarà solo una prospettiva a dir poco ottimistica. Già questo sarebbe un buon motivo per abbandonare subito la folle idea di seguirlo, ma a volte – senza un motivo apparente – ci si scopre particolarmente masochisti.
Il Festival si apre con i Negramaro e l’omaggio a Lucio Dalla, nel giorno del suo 78esimo compleanno. Fin qui tutto bene, grande momento di poesia musicale, a parte qualche mal di pancia più intenso del solito per Giuliano Sangiorgi, che ogni tanto esagera un po’ coi lamenti. Questa è la serata dedicata ai duetti, ma se il buongiorno si vede dal mattino, sarà una triste nottata. Noemi in coppia con Neffa sono i primi ad esibirsi e cantano Prima di andare via, ma forse sarebbe stato meglio andare via prima: l’esibizione è per quasi tutta la durata completamente fuori tempo.
Doveva essere la serata di Naomi Campbell o meglio, il Festival di Naomi Campbell e invece, causa pandemia, arriva un surrogato tutto italiano: Vittoria Ceretti, super top model bresciana. Bella è bella, magra ancora di più, ma se nelle precedenti serate eravamo abituati ad una presenza femminile solida e attiva, qui torniamo alla donna come parte integrante della scenografia, ma soprattutto di solidità manco l’ombra, visto che la ragazza ha una vaga tendenza al dondolio, che a guardarla pare di stare sulla Tirrenia col mare forza nove.
Si prosegue ad un’insolita velocità coi duetti, nella speranza forse di finire entro le quattro del mattino. E sarà per questa prescia o sarà che ‘sto Sanremo non s’aveva proprio da fare, ma si susseguono una serie di disastri allucinanti: Renga palesemente svociato in duetto con Casadilego con Una ragione di più; la Michielin e Fedez che propongono un medley dal titolo E allora felicità, ma il riferimento a questo stato d’animo è puramente casuale, infatti l’esibizione è di una tristezza infinita e Fedez sfoggia il look più brutto della storia dei look più brutti della storia; Fasma in coppia con Nesli vengono interrotti dopo un minuto di canzone perché il microfono non funziona e Amadeus chiede la pubblicità d’emergenza.
Il duetto più bello della serata è quello dei Maneskin con Manuel Agnelli, che cantano un meraviglioso pezzo dei Cccp, Amandoti. Sono spudoratamente rock and roll, mai banali o forzati, semplicemente perché hanno talento. Quello vero. Uniti a Manuel Agnelli regalano la più bella esibizione del Festival da qualche anno a questa parte.
La nostra Orietta nazionale questa sera si presenta in una mise rosso fuoco, accompagnata da quattro dame bianche, il gruppo al femminile Le Deva ed insieme cantano Io che amo solo te di Tenco. Anche noi Orietta amiamo solo te.
Stendiamo un velo pietoso sulla gag di Fiorello che, per animare una serata in evidente affanno, si rade i baffi in diretta. Come prossima mossa, attendiamo anche i gargarismi col collutorio e un’accorciatina alle unghie dei piedi.
E’ mezzanotte e venti e mancano ancora dieci cantanti. Forse per tentare di scongiurare una fuga di massa del pubblico a casa verso i propri letti comodi, ecco arrivare il quadro di Achille Lauro che questa sera ha davvero meritato l’attesa. I riflettori si accendono sul monologo della Penelope di Ulisse, magistralmente recitato da Monica Guerritore, che in un attimo ci fa capire più di qualsiasi protesta del settore quanto ci manca il teatro, quanto abbiamo bisogno di tutta la sua poesia. Achille Lauro come un dio greco canta la sua Penelope, accompagnato da Emma Marrone in stato di grazia. Tutto è armonico e potente. Finalmente è tornato Achille Lauro.
Lo Stato Sociale porta sul palco Francesco Pannofino, Emanuela Fanelli e i lavoratori dello spettacolo con un’esibizione paracula, ma molto potente, scegliendo il bellissimo pezzo degli Aftehours Non è per sempre. Una speranza per il futuro, in un presente in cui c’è bisogno di credere che tutto questo buio non sarà per sempre.
E comunque questa serata, infinitamente lunga ed estenuante, mi ha portato ad una riflessione (tenete conto che si tratta di una riflessione fatta all’1.45): riascoltare tutte queste bellissime canzoni italiane, i testi e le musiche di autori che hanno fatto la storia della musica italiana ha reso davvero troppo evidente l’impietoso paragone con gran parte della musica attuale. La classifica finale arriva alle due e vede in testa Ermal Meta. Ciò che conta però, è che Orietta è nella top ten. Finché la barca va, lasciala andare.