Dove eravamo rimasti? Non importa. Per seguire la Maratona Sanremo (in confronto Mentana è un debuttante) ci vuole un fisico bestiale. Altro che quell’armadio di muscoli di Ibrahimovic, il fuoriclasse del Milan. Ma a Sanremo è fuoritono, fuoriposto. Troppo rigido. Sembra il bodyguard del servizio d’ordine, tirato a lucido.
Fiorello ce la mette tutta, ma le cinque ore di diretta sono una prova di resistenza micidiale per tutti: Sanremo te le succhia tutte le energie. Nel tritacarne c’è troppa roba. La gag sul segretario dimissionario del Pd diventa un caso politico: “Zingaretti ha due opzioni: o si candida a sindaco di Roma o fa l’opinionista dalla D’Urso. Questa non è satira politica, è realtà”. Ore 23.36: ci siamo già sorbiti quasi tre ore e quando sale sul palco altro campione di calcio, Sinisa Mihajlovic (chi lo conosceva!) e si confessa ad Amadeus. È solo l’amore (ciao Susanna, professionalmente parlando, intendo) che ho per Fiorello che mi spinge a non cambiare canale.
Caso Naomi Campbell. La top model doveva essere la “valletta” della terza serata. Invece last minute dà forfait. Causa pandemia, scusa ufficiale. Invece pare che non si siamo messi d’accordo sul gettone di presenza. La sostituisce Vittoria Ceretti, 22 anni, altra stra-top, bellissima, elegantissima, fasciata e infiocchettata in abito nero bordato di ruche. Nessun rimpiange la pantera nera e i suoi capricci. Mentre Manuel Agnelli canta col frontman dei Maneskin, che si esibisce in guepiére stringata rosa cipria e anche in fatto di anelloni non si fa mancare nulla: ad ogni dita ne infila tre o quattro.
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Achillelaurizzàti: tutti lo imitano, tutti lo evocano. Meno male che c’è lui e i suoi eccentrici tableaux vivants che ci tengono arzilli. Ospite fisso di ogni serata, dopo il proteggi(s)palle scintillante da gladiatore, sfoggia l’indomani un look quasi collegiale: un tre pezzi grigio, con gilet, camicia-pettorina bianca, pantaloni palazzo, boutonnière in seta e booties a tacco alto argentè. A completare il look, griffato Gucci, una treccia lunga fino a piedi che fa roteare come una frusta.
Terzo siparietto: addirittura nobilitato da un monologo che fa a cazzotti contro la cultura pop di cui il Festival è portatore, Monica Guerritore recita “Penelope”. Immobile dietro di lei il performer, avvolto in una tunica in maglia metallica, è una statua pittata d’oro. In testa una coroncina anticata che fa tanto puttino. Scende dal piedistallo Achille Lauro per duettare con Emma Marrone e come un vate: “Dio benedica gli incompresi”.
Non sanno più cosa inventarsi: una coda di cavallo lunga e nera unisce le coriste di “Splendido splendente”, la super hit degli anni ’80 di Donatella Rettore, oggi bellezza plastificata. Arisa: da che si sentiva un brutto anatroccolo si fa sempre più fashion. Molto giap nel trucco e parrucco. Voce sublime quando dedica la cover a Pino Daniele duettando con Michele Bravi “Quando”.
Lacrime di sangue e lacrime veraci. Le prime le piange per finta Achille Lauro (sì, ancora lui), le altre inumidiscono gli occhi di Gigliola Cinquetti quando attacca “Non ho l’età (per amarti)”, canzone vincitrice di Sanremo 1964. Graziosa e aggraziata, abito blu sartoriale, monospalla, semplice (un aggettivo che non si declina a Sanremo), con quelle sue rughette orgogliose, anche loro, di esserci.
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Sarò giurassica ma a me è piaciuto tanto anche Fausto Leali, marchio di fabbrica quella sua voce possente di “Io Amo” (Sanremo 1987).
Apriamo i Teatri, non solo l’Ariston. E’ il grido di dolore delle 10mila persone che sono rimaste senza lavoro. E solo il gruppo canoro impegnato Lo Stato Sociale se ne può fare portavoce. Sono le due di notte, la palpebra non regge più. Sanremo continua.