A Genova i lavoratori portuali, che non si sono mai fermati durante la pandemia, sono in sciopero per difendere le loro buste paga. La vicenda e già di per se paradossale con Confindustria che afferma in una lettera che i rinnovi contrattuali e gli aumenti degli scorsi anni sarebbero stati estorti. Come se non bastasse l’associazione degli imprenditori replica alla mobilitazione dei lavoratori in modo vagamente minaccioso: “I lavoratori ricordino che oggi il lavoro è un privilegio”.
Confindustria fa finta di non sapere che le imprese assumono i lavoratori per un motivo molto semplice: fanno guadagnare più di quanto costano. E dimentica come una sana dialettica sindacale sia funzionale alla buona salute del sistema produttivo, quindi anche agli imprenditori. Ma, come visto in tempi recenti e meno recenti, per gli imprenditori, le crisi sono anche occasioni d’oro per provare a comprimere le retribuzioni e rosicchiare un diritti a chi lavora. Negli ultimi decenni la quota di salari in rapporto al Prodotto interno lordo è andata via via riducendosi, così come si sono assottigliate le tutele. E’ accaduto in tutti i paesi occidentali, ma in Italia in modo più accentuato: dal 67% del 1990 la quota dei redditi da lavoro sul Pil è scesa al 6o%. Parallelamente è cresciuta la quota dei profitti. Questo aumento dei guadagni disposizioni di chi possiede le aziende ha prodotto più ricerca, sviluppo e miglioramento della capacità italiana di competere? La risposta è molto semplicemente no, come qualsiasi statistica può dimostrare. La crescita della produttività del lavoro italiana è la più bassa d’Europa dopo la Grecia. La produttività sale principalmente quando un lavoratore dispone di strumenti migliori e riesce quindi a produrre di più nello stesso tempo.
I dati diffusi ieri dall’Istat sul drammatico aumento della povertà assoluta in Italia, dimostrano come ormai a ricadere in questo girone infernale siano anche famiglie in cui un componente lavora, e più frequentemente se fa l’operaio. Con buona pace dell’articolo 36 della nostra Costituzione secondo cui “Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. Confindustria tira dritto sulla nuova linea voluta dal presidente Carlo Bonomi: nessun aumento, al massimo concessioni in termini di welfare aziendale. Questo atteggiamento ha portato da ultimo alla rottura, una settimana fa, delle trattative sul contratto dei trasporti e della logistica, anche in questo caso settore in prima linea durante la pandemia. La proposta degli imprenditori non prevede nessun riconoscimento economico ma una riduzione dei diritti e delle tutele dei lavoratori del settore.