Quando si dice le coincidenze: ho appena terminato di vedere la godibilissima serie tv omonima tratta dal film Tutta colpa di Freud, storia famigliare di un padre single cinquantenne, psicoanalista, alle prese con le complicate vite delle tre figlie femmine e, mentre apro la finestra, ecco sotto il mio portone un padre sui quarant’anni con le sue tre bambine accanto.
La più grande è sui dieci anni, sta visibilmente cercando l’attenzione del padre intento a guardare il cellulare, e per farlo non smette di lamentarsi per il suo divieto di mangiare una caramella. Il padre alza la voce per zittire la primogenita, minaccia uno schiaffo, rituffa il viso nel rettangolo del telefono.
La sorella di mezzo (sugli 8 anni) coglie l’opportunità di mettere la maggiore nell’angolo e guadagnare punti presso il padre: ”Senti, io sono mesi che non mangio niente di dolce, nemmeno quando siamo dalla nonna, ora smettila. E poi così io resto magra” chiosa. La più piccola, non avrà più di 7 anni, chiude il raggelante teatrino intonando il coretto “cicciona, cicciona” all’indirizzo della sorella maggiore: colpita e affondata. La decenne tace, sconfitta e umiliata dalle sue stesse simili. Tutto questo senza che il padre faccia o dica nulla, perso nello schermo.
La scena domestica succintamente descritta offre così tanti spunti di analisi e riflessione sull’educazione, sul silenzio e l’assenza adulta, sulla responsabilità genitoriale, sugli stereotipi assorbiti fin da piccole che non so da dove cominciare, ma per ora la prendo a pretesto per dire quanto gli uomini, i padri, gli amici, i compagni, i fratelli, i figli adulti siano importanti nella strada del cambiamento sociale in ottica ecofemminista.
In questo periodo dalla memoria social emergono i “ricordi” dei miei marzo passati, che come i miei novembre sono ormai da tempo colmi di iniziative sulla violenza maschile, un destino comune di molte attiviste: dal 2012, quando uscì il libro Uomini che odiano amano le donne e, poco dopo, nacque il progetto “Manutenzioni-Uomini a nudo” ho incontrato centinaia di uomini di ogni età, cultura e ceto sociale: virtualmente quando mandarono le risposte poi pubblicate e successivamente di persona, nei laboratori che precedono sempre lo spettacolo.
Questi uomini sono stati, negli anni, la prova vivente che la violenza maschile sulle donne si fermerà se tanti più uomini saranno presenti nello spazio pubblico con voce dissonante e critica sul patriarcato. Perché il patriarcato non ha confini, è il nostro luogo comune, viaggia e si trasmette veloce e tenace attraverso i corpi e i cervelli umani fino a quando, con un faticoso ma indispensabile gesto di assunzione di responsabilità, alcuni uomini cambiano traiettoria, e rendono visibile lo smarcarsi dalla comfort zone del dominio condiviso con i loro pari, una comfort zone alimentata purtroppo anche dalla postura ancillare di molte donne.
I gesti divergenti che, in questo drammatico tempo di pandemia, hanno avuto luogo nei giorni scorsi su stimolo di singoli o di gruppi maschili, per esempio a Biella, Trento, Torino, Genova possono sembrarci piccoli o tardivi e magari lo saranno, ma sono necessari e contagiosi: di questo contagio abbiamo un disperato bisogno perché, come bene spiega l’attivista e formatore Jackson Katz, servono uomini che parlino agli altri uomini dicendo loro che la violenza maschile sulle donne è un problema maschile.
Eve Ensler nella sua potente “Preghiera di un uomo” (che non a caso ho scelto come apertura di Manutenzioni-Uomini a nudo) rende visibile il cambiamento della maschilità quando gli uomini assumono il desiderio di trasformazione, e con l’ultimo libro Chiedimi scusa li chiama al confronto con il femminismo, come qualche anno prima fece Emma Watson, ambasciatrice della campagna dell’Onu “He for she”.
Servono le parole degli uomini contro il sessismo, perché sappiamo molto bene che i ragazzi restano più colpiti se è un uomo come loro a parlare di maschilismo; servono persino gli inciampi degli intellettuali di punta, perché dimostrano che il femminismo è ancora inteso come ideologia contrapposta al maschilismo, invece che lo spazio di liberazione universale e l’unico movimento globale che parte dalla dimensione personale e dalla relazione, per arrivare a quella pubblica e politica, facendo dire alla scrittrice e attivista Chimamanda Ngozi Adichie che si dovrebbe essere tutti femministi.
“Il femminismo è il vero umanismo, ovvero il pensiero politico che unifica tutte le grandi utopie: quella socialista, quella pacifista, quella nonviolenta, quella anticapitalista”: così lo sintetizzò nel 2011 Nawal Al Sadaawi, figura mitica del movimento laico e femminista mondiale. Abbiamo bisogno, per fermare la concreta, tragica mattanza delle donne nelle case – e quella non meno pericolosa simbolica dell’odio misogino nei media e nello spazio pubblico – delle voci maschili alternative a quelle patriarcali, affinché la storia che lasceremo in eredità sia scritta con parola nuove.