“Dall’inizio di febbraio, ho ricominciato la ricerca di una dimora in cui poter vivere la vita monastica e praticare l’ospitalità come sempre ho fatto tutta la mia vita a Bose: alla mia vocazione non intendo rinunciare. Non ho nulla in più da comunicare almeno per ora. Giudicate voi! Di quanto qui scritto sono disposto a mostrare i documenti che lo provano”. Sono le parole finali del lungo comunicato che Enzo Bianchi, il fondatore della comunità di Bose, ha pubblicato nel tardo pomeriggio di oggi sul suo blog. Una frase che non lascia spazio ad equivoci: Bianchi ed altri fratelli e sorelle daranno vita ad una nuova realtà. L’ex priore, 79 anni il 3 marzo scorso, dopo mesi è tornato a “parlare” attraverso una nota dal titolo: “Silenzio sì, assenso alla menzogna no!”.
Dopo il comunicato del Vaticano di ieri, nel quale si ribadiva la volontà del Papa di dare esecuzione al Decreto singolare del 13 maggio 2020, che chiedeva l’allontanamento a tempo indeterminato di Enzo Bianchi e di altri due fratelli e sorelle (che da tempo non vivono più a Bose), l’anziano monaco ha deciso di spiegare quanto accaduto rompendo il silenzio tenuto finora per obbedienza al Vaticano. Il fondatore non nasconde il suo sdegno per le modalità del provvedimento della Santa Sede: “Nel Decreto del Segretario di Stato consegnatoci il 21 maggio 2020, veniva chiesto a me, a due fratelli e a una sorella l’allontanamento da Bose a causa di comportamenti a noi mai indicati e spiegati che avrebbero intralciato l’esercizio del ministero del priore di Bose, Luciano Manicardi. Pur non avvallando le calunnie espresse nel Decreto, coscienti che non ci era consentito l’esercizio del diritto fondamentale alla difesa (come sancito dalla Carta dei diritti umani e dalla Convenzione europea) abbiamo obbedito al Decreto”.
Nessuno dei quattro allontanati, infatti, ha mai pensato finora a delle azioni legali ma se Goffredo Boselli, Lino Breda e Antonella Casiraghi se ne sono andati da tempo, Bianchi è rimasto a Bose nel suo eremo, distante dalla comunità: “Ho immediatamente iniziato la ricerca di un’abitazione adatta a me e alla persona che mi assiste, dove poter anche trasferire la vasta biblioteca necessaria al mio lavoro e l’ampio archivio personale. Dopo mesi di ricerca condotta anche da agenzie specializzate, ricerca complicata altresì dall’emergenza sanitaria del Covid-19, non ho trovato nulla di confacente alle mie esigenze. I costi per l’acquisto di un casa in campagna (sempre superiore a 500.000 euro) o di un affitto di un alloggio in città restavano eccessivamente elevati rispetto alle mie possibilità economiche e alla scelta di una vita sobria che ho sempre condotto”.
Una questione economica ma non solo. Il fondatore non nasconde i suoi problemi di salute: “Gravissime difficoltà di deambulazione causata da una seria sciatalgia, una grave insufficienza renale che non permette alcun intervento chirurgico risolutivo, ai quali si aggiunge una patologia cardiaca. É a seguito di questa situazione e non per altre ragioni, che non ho potuto lasciare l’eremo nel quale vivo da più di quindici anni”. Il problema è sorto, secondo quanto ricostruisce l’ex priore, rispetto alla proposta di andare nella fraternità di Cellole: “Nell’ottobre 2020, direttamente dal cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin mi è giunta la proposta di trasferirmi presso la fraternità di Bose a Cellole, sita in San Gimignano, insieme ad alcuni fratelli e sorelle che si sarebbero resi disponibili, così da attuare pienamente il Decreto e trovare una soluzione per la mia residenza fuori comunità. A questa proposta, il priore di Bose, l’economo della comunità e il delegato pontificio hanno da subito posto alcune condizioni, tra le quali la perdita di tutti i diritti monastici per i fratelli e le sorelle che si sarebbero trasferiti a Cellole nella condizione di extra domun”.
Una soluzione alla quale Bianchi si è contrapposto attraverso una lettera al Segretario di Stato che il 13 novembre scorso ha risposto al fondatore: “Il Cardinale Parolin – spiega fratel Enzo – in una lettera a me indirizzata, accoglieva le mie osservazioni, chiedendomi di trasferirmi a Cellole con alcuni fratelli e sorelle disponibili, da me scelti in intesa con il priore di Bose, i quali avrebbero vissuto come monaci extra domum ma conservando tutti i loro diritti monastici”. Le indicazione di monsignor Parolin, tuttavia, sono rimaste lettera morta visto che l’8 gennaio scorso il delegato pontificio, ha ribadito a Bianchi il divieto di condurre vita monastica o cenobitica a Cellole. “A queste condizioni – sottolinea l’anziano monaco – che non sono mai state rese note alla comunità, io non ho mai dato il mio assenso, perché mi sembrano disumane e offensive della dignità dei miei fratelli e delle mie sorelle. Il decreto del delegato pontificio pone con tutta evidenza me e quanti con me vivono a Cellole in una condizione di radicale precarietà, obbligandoci a vivere perennemente nell’angoscia di essere cacciati in ogni momento e per qualsiasi ragione. Se alle indicazioni del Segretario di Stato avrei sempre potuto ubbidire, alle modalità di realizzazione dettate in particolare da fr. Guido Dotti non ho mai potuto dare il mio assenso. Per queste ragioni, per la quarta volta, il 2 febbraio scorso ho comunicato al delegato pontificio e al priore, tramite lettera consegnata nelle sue mani, la mia decisione di non trasferirmi a Cellole alle condizioni poste da loro”. Da lunedì, fratel Enzo, ricomincerà a cercare casa. Nella testa del fondatore non c’è alcuna intenzione di rassegnarsi ad una vita in solitudine e lontana dalla sua vocazione. Da Bose sono pronti ad andarsene almeno otto tra fratelli e sorelle che seguirebbero il fondatore. Un nuovo inzio a 79 anni. Una nuova primavera per Bianchi e per quanti in questi mesi lo hanno sostenuto.