“Cinque giorni che ti ho perso”, cantava addolorato nel 1994. Due anni dopo rincarava la dose con un testo meraviglioso e minimale, metaforico e cocciantian/baglioniano come L’elefante e la farfalla
Se due milioni di dischi vi sembrano pochi. Michele Zarrillo, romano, 63 anni, un pop d’amore e di cuore, delicatissimo, che a Sanremo deve parecchio, senza aver mai raccolto chissà che. “Cinque giorni che ti ho perso”, cantava addolorato nel 1994. Due anni dopo rincarava la dose con un testo meraviglioso e minimale, metaforico e cocciantian/baglioniano come L’elefante e la farfalla. Poi ancora La notte dei pensieri e degli amori che rimane impressa specie nel ritornello come la lezione da vero autore popolare vuole.
Emotivo, riservato, mai tendente all’esuberante, Zarrillo è quello che nelle foto di classe trovi sempre un po’ spento ma mai abbattuto del tutto nell’angolo in alto a destra: “La memoria è il mio punto debole – dice – dopo 26 anni nei concerti il testo di Cinque giorni lo devo ancora leggere”.