“A cosa servono i soldi?”, la prima domanda che faceva il direttore crediti a me, giovanissimo credit analyst di 25 anni fa, ogni volta che gli sottoponevo una “pratica” di finanziamento per una impresa. Perché per un banchiere (colui che decide come impiegare i soldi della banca), la individuazione della esatta finalità del finanziamento determina la scelta dello strumento creditizio più opportuno per la gestione delle finanze della impresa. Purtroppo nella visione più populistica del problema, la finanza è uno strumento per apportare genericamente risorse all’impresa, e la difficoltà odierna starebbe nel fatto che queste risorse siano scarse, o comunque non affluiscano alle imprese.
La verità è che il problema consiste soprattutto nel portare all’impresa il tipo di risorse finanziarie più adatte alla fase di sviluppo (o di crisi) che si sta attraversando, e all’utilizzo che di quelle risorse si vuole fare. Un’impresa in fase di avvio richiede risorse finanziarie di tipo molto diverso da quelle richieste a una impresa avviata e in consolidamento. La crescita del circolante (composto da quelle voci che, “circolando”, si tramutano in breve tempo in entrate e/o uscite di liquidità: il totale dei crediti verso clienti più il valore delle rimanenze meno il totale dei debiti verso fornitori per merci) – il cui finanziamento è spesso cruciale per le imprese in forte crescita – richiede risorse diverse (a breve termine, di solito) da quelle necessarie (a medio-lungo termine) per costruire nuovi impianti o sviluppare nuovi prodotti. Quante volte ho visto incrociare questa equazione con danni irreparabili per la sopravvivenza dell’azienda: scoperti di conto corrente per l’acquisto di un capannone e mutui per pagare le “tredicesime” ai dipendenti!
L’acquisizione di un concorrente – che spesso è una opportunità decisiva per creare una impresa di successo – richiede quasi sempre finanza straordinaria, e molto spesso un pacchetto che non può comprendere solo debito. I momenti di ristrutturazione e turnaround – che vanno riconosciuti in anticipo piuttosto che rimandati o accantonati – richiedono, invece, sempre una finanza specialistica.
Il ruolo del Cfo (Chief Financial Officer o “direttore finanziario”) o, laddove manchi, come nella maggior parte delle piccole imprese, quello del Consulente finanziario (anche temporary manager) è, quindi, cruciale nell’aiutare l’imprenditore a identificare correttamente la fase di sviluppo nella quale l’azienda si trova, e di conseguenza il tipo di finanza davvero necessaria per lo sviluppo dell’azienda.
Non si tratta soltanto della tradizionale (e importante) scelta tra debito ed equity (per semplicità soldi e rischi propri), ma anche di capire esattamente che tipo di debito (con che durata, caratteristiche, piano di rimborso, sviluppo futuro) e naturalmente che tipo di equity (autofinanziamento, soldi della maggioranza o delle minoranze, con che tipo di apporto industriale, quale governance,…) siano necessari, e quale sia la miscela migliore di strumenti da adottare in ogni momento. A tal proposito le notizie si dividono in buone e cattive.
La buona notizia è che, una volta identificate correttamente l’esigenza dell’azienda, le fonti di finanza aziendale ci sono e oggi sono molto più numerose e diversificate di quelle disponibili già solo dieci anni addietro, anche per imprese di dimensioni medie e piccole. Alla finanza bancaria (che si è essa stessa evoluta e articolata) si è aggiunta una finanza proveniente da mercati dei capitali e mercati privati (fonti in realtà disponibili da sempre, ma che sono diventate molto più accessibili), e da ultimo si è aggiunta la finanza digitale, adottata in Italia in maniera velocissima da molte aziende, per le sue caratteristiche di velocità, flessibilità, e accesso ancora più diretto ai mercati dei capitali.
La brutta notizia è che, in Italia, per il piccolo imprenditore normalmente le figure dei consulenti finanziari e i mediatori creditizi vengono confuse e i danni sono molto spesso drammatici. Si tratta di profili professionali molto differenti tra loro, con regole e compiti ben precisi. Il Mediatore creditizio è una figura professionale che ha il compito semplicemente di mediare, cioè di mettere in relazioni le banche o enti che erogano finanziamenti con i potenziali clienti che sono alla ricerca di un prestito. Un faticoso ruolo di connessione tra domanda e offerta senza, però, alcuna competenza in materia di analisi di bilancio, di budgeting finanziario e di gestione della strategia finanziaria dell’impresa.
Abitualmente in possesso di una laurea in Economia e commercio e di una specializzazione, il Consulente Finanziario, invece, ha spesso completato la sua formazione iniziale in modo da acquisire una competenza tecnica contabile e finanziaria attestata da un’esperienza in una banca o in uno studio di revisione contabile del tipo Big4. Il suo rapporto di collaborazione con la piccola impresa deve essere continuativo e non occasionale, come avviene invece ogniqualvolta si chiama un Mediatore creditizio per ottenere qualcosa di soldi. Il Consulente Finanziario ha competenze tecniche nettamente superiori a quelle del Mediatore creditizio cui, spesso contrariamente alla sua volontà, viene richiesto di esprimere “valutazioni” di convenienza.
Ovviamente anche gli onorari sono diversi. E forse è questa la causa che determina la confusione nei piccoli imprenditori che, non pensando ad un investimento ma ad un costo, spesso successivamente sono costretti a pagare tanto in termini di dissesto.