L'intervento non è stato accolto con grande piacere da chi l’ha seguito, anzi. Basta dare un’occhiata sui social e su qualche testata online per vedere fioccare proteste e bocciature
“È una serata speciale che voglio dedicare a tutte le donne italiane”. Barbara Palombelli introduce così il suo monologo a Sanremo ma le reazioni non sono delle migliori. Dieci minuti in cui la giornalista romana, moglie di Francesco Rutelli, ripercorre la sua vita di lotta ed emancipazione tra gli anni sessanta e settanta per diventare indipendente e autonoma nel mondo del lavoro. “Alle donne italiane voglio raccontare chi sono. Sono stata una ragazza che amava i Beatles e i Rolling Stones e che ascoltava di nascosto De Andrè. Mio padre invece amava Sanremo. Lo guardavamo insieme e lui voleva diventassi come Gigliola Cinquetti: un filo di perle, il matrimonio, una vita tranquilla”, ha spiegato Palombelli dando spazio ogni due minuti ad un brano di Sanremo che sottolineava i passaggi del suo discorso. “Invece io ero una ragazzina ribelle. Guidavo moto e auto senza patente, dovevo ribellarmi ma dovevo anche studiare tanto per conquistarmi la stima di papà e la libertà. Per farlo l’unico modo era andare a lavorare. Lui mi diceva se continui così vai a lavorare e a 15 anni sono andata a lavorare e non ho ancora smesso. Ho fatto di tutto: la segretaria, la commessa, la sondaggista”. Alle spalle della conduttrice scorrono le immagini di Celentano e la Mori. Chi non lavora non fa l’amore. E Palombelli riattacca: “Volevo fare l’amore ma volevo anche lavorare. Erano gli anni 70 e oltre a lavorare bisognava lottare per i diritti, perché voi ragazze, voi donne giovani i diritti li avete trovati già fatti, e noi invece li abbiamo dovuti costruire anche andando in piazza. Adesso tocca voi a difenderli, però con quel sorriso determinato che sapete di avere. Ragazze, la chiave del futuro è in queste parole: ribellatevi sempre. Tanto non andremo mai bene, ci criticheranno sempre, ci umilieranno, ci metteranno le mani addosso, non saremo mai perfette, non andremo mai bene ai mariti, padri, fratelli”.
Questa la traccia essenziale del discorso di Barbara Palombelli sul palco dell’Ariston che però non è stato accolto con grande piacere da chi l’ha seguito, anzi. Basta dare un’occhiata sui social e su qualche testata online per vedere fioccare proteste e bocciature. “Il risultato è stata una scrittura che non convince, un miscuglio di elementi alla rinfusa tra biografia e vecchie canzoni – scrivono su Fanpage – si arriva, non si sa come, ad alle “donne europee che devono contribuire alla rinascita”, subito dopo aver citato Luca Barbareschi e i balletti. Un monologo che passa da una cosa all’altra “così, de botto”, per citare il Renè Ferretti di Boris”. Oltre alla “noia” del lungo discorso, come twitta tra i numerosi altri il giornalista Ernesto Assante di Repubblica (“Lo Stato sociale ha svegliato tutti quelli che si erano addormentati con la Palombelli”), sono alcuni passaggi precisi che vengono contestati alla giornalista romana. C’è chi parla di “perbenismo becero” (“Quanto perbenismo becero in questo monologo. “Voi ragazze oggi avete trovato tutto già fatto”. Sì Barbara, fatto na m…a e per questo siamo messi così”), chi evidenzia con ironia come Spinoza una certa libertà di ricostruire la morte di Luigi Tenco che la Palombelli ha catalogato come “gioco con la pistola” (“durante l’omaggio della Palombelli, dalla tomba di Tenco si è sentito un altro sparo”), ma anche chi come Carlotta Vagnoli, autrice e sex columnist, attiva per i diritti delle donne, ribalta al contrario il senso del monologo ascoltato.
“Partiamo da principio e senza troppi fronzoli: se il mondo va in malora è proprio per colpa della generazione di Palombelli”, scrive su Instagram Vagnoli. “Altro che traguardi guadagnati e da difendere, noi ci ritroviamo con divari sociali infiniti, disastri ambientali, aumento esponenziale della povertà e diritti per pochi messi costantemente in dubbio. E questo avviene proprio per le politiche superficiali di una generazione che non è mai stata lungimirante. (…) Il discorso prosegue ricordando quanto il ruolo delle donne nel bel paese sia fondamentale. Quale ruolo? Ma quello di detentrici del lavoro di cura, ovviamente (la Vagnoli si riferisce a quando Palombelli ha affermato che le donne hanno il compito fondamentale di tenere in piedi il paese, tenendo le scuole aperte attraverso i tablet, le famiglie tranquille, accudendo i malati ndr)”. Infine: “ma la stoccata finale -tralasciando le boiate sul giocare con le pistole e il siparietto su come negli anni ’60 non ci fosse droga- arriva con l’usuale prosopopea sul “no pain no gain” in cui Palombelli incita le “ragazze” al duro lavoro, allo studio matto e disperatissimo, fino -cito- alle lacrime, perché “alla fine funziona”. E non solo funziona: fa anche entrare nel club esclusivo delle VEREDONNE, le uniche che possono contribuire alla rinascita di questo paese”. Sul tema del cosa siano le “vere donne” citate dalla Palombelli mette il sigillo su Twitter la scrittrice Chiara Valerio segnalando inconsistenza e genericità nelle parole della giornalista: “Le donne forti, vere, come ne ho incontrate tantissime, devono contribuire alla rinascita di questo Paese”. Quale la differenza con sono una donna sono una madre sono cristiana? Sostituire la donna forte e vera all’uomo forte e vero non cambia nulla”.