Il presidente di Confartigianato Marco Granelli lancia l'allarme ma sottolinea anche come ci siano settori che stanno reggendo bene alle difficoltà. Come in Germania, i ristori dovrebbero essere calcolati su base semestrale e non mensile. Allo studio "fondi territoriali" per ridurre la dipendenza delle banche. Le Pmi devono rafforzare capacità di fare rete, livello tecnologico e utilizzo del web
Marco Granelli è presidente di Confartigianato dallo scorso dicembre. L’associazione raggruppa 700mila tra artigiani, micro e piccole imprese. Come per tutti il periodo è terribile. Ma tra tante ombre c’è anche qualche luce e si guarda comunque al futuro. La pandemia, che sta colpendo in modo molto differenziato i settori, è stata anche l’occasione per sbrogliare nodi che aspettavano da tempo di essere sciolti. Artigiani e piccoli imprenditori chiedono al Governo che gli aiuti siano parametrati meglio ai danni subiti ma lavorano anche per ridurre la loro dipendenza dal sistema bancario, rafforzare la capacità di fare rete e sfruttare meglio le possibilità offerte dal web.
Presidente, lo sappiamo, la situazione è drammatica. Molti piccoli imprenditori e commercianti lamentano i ritardi nell’arrivo dei nuovi e aiuti e si dicono ormai allo stremo. I vostri associati sono soprattutto artigiani, micro e piccole imprese, dal vostro osservatorio che situazione vedete?
Dipende. Per il 32% dei nostri associati il momento è davvero difficile, parlo di attività che vanno incontro a seri rischi operativi e a problemi di liquidità già nei prossimi mesi. Come è facile immaginare le attività più colpite sono quelle che hanno a che fare con turismo, ristorazione, organizzazione eventi. Ma è molto colpita anche la moda, secondo le nostre stime nei primi 10 mesi del 2020 il settore ha perso circa di 10 miliardi di euro di ricavi. E soffrono anche i mobili su cui pesa il clima di timore e forte incertezza che induce le famiglie a rimandare spese di una certa entità come potrebbe essere, ad esempio, quella di una cucina nuova.
Ci sono però anche settori che stanno reggendo bene, penso all’alimentare o al medicale. Ma tengono anche le costruzioni, soprattutto grazie alle tante ristrutturazioni, favorite da incentivi e superbonus. Il superbonus al 110% deve ancora liberare appieno il suo potenziale, poiché molti interventi sono andati a rilento a causa di ragioni pratiche come l’impossibilità per gli amministratori di condominio di deliberare in base a riunioni on line. Ora le cose si stanno via via normalizzando e nell’ultima parte dell’anno abbiamo registrato un boom del + 366% nella richiesta di interventi di ristrutturazione.
Stando alle ultime bozze del prossimo “decreto Sostegno” a cui lavora il governo Draghi, i criteri di erogazione dei ristori non sarebbero molto diversi da quelli usati in precedenza. In particolare, per le imprese più piccole l’entità del rimborso rimane al 20% del fatturato perso e il calcolo avverrà su base bimestrale prendendo a riferimento gennaio – febbraio 2021, un periodo in cui tutto sommato le perdite sono state meno forti che in altri mesi. Un primo giudizio?
Con una battuta potrei dire c’eravamo tanto illusi. Se il testo finale confermasse quanto si legge dalle bozze non posso infatti nascondere una certa delusione, il decreto non sarà accolto con soddisfazione tra i nostri associati. Anche perché si era ipotizzato di alzare al 30% delle perdite l’entità dei rimborsi cosa che invece non sembra sia avvenuta. Quello che auspicavamo era anche un allungamento della temporalità su cui vengono calcolati i ristori almeno semestrale, come già avviene in Germania, invece qui ci si ferma ai due mesi. Giudico invece positivamente la decisione di non ricorrere più ai codici Ateco per la classificazione delle attività che hanno diritto ai ristori, un sistema che finiva per penalizzare parte delle filiere.
Nell’ormai famoso intervento che Mario Draghi scrisse sul Financial Times un anno e in cui si può ritrovare una sorta di manifesto per le politiche di governo in tempo di pandemia, il presidente del Consiglio parla anche dell’opportunità di non salvare a tutti i costi le aziende, e di lasciare al loro destino quelle ormai compromesse pur attivando sistemi che ne limitino l’impatto sociale di queste chiusure. In linea teorica sono parole di buon senso ma nella pratica è difficile fissare l’asticella della sopravvivenza. Vi spaventa questa idea?
Noi siamo assolutamente d’accordo sul fatto che non sia opportuno tenere in vita a tutti i costi aziende chiaramente decotte. Ma pensiamo che il discorso debba riguardare le attività che erano in questa situazione per cause che non hanno a che fare direttamente con l’emergenza della pandemia. Vanno invece aiutate in tutti i modi le piccole imprese che sono a rischio per i danni della pandemia. Mi lasci dire che a differenza di altre crisi, penso a quella del 2008, questa è una crisi che definisco ingiusta, senza colpe da parte dei soggetti economici. Quando si ragiona sui sostegni da erogare bisogna tenere conto anche di questo. Contestualmente al mondo dei nostri associati rilevo che si tratta di un contributo al Pil che non può essere considerato esclusivamente in termini numerici ma anche “sociali”, vista la presenza capillare sul territorio, spesso anche in zone dove prive di aziende medio grandi.
Un altro elemento chiave per il rilancio dell’attività imprenditoriale sarà l’utilizzo dei fondi del Recovery fund. Coinvolgere in grossi progetti le grandi aziende è semplice, quasi automatico. Non c’è il rischio che ai piccoli e piccolissimi arrivino solo le briciole?
Proprio per questo chiediamo al governo che nella messa a punto del piano si tenga conto di quelle che sono le caratteristiche del tessuto imprenditoriale italiano, dove il 94% delle aziende sono Pmi e si conta un’attività ogni 7 abitanti. Quindi che non ci siano vincoli di destinazione dei fondi in base alle dimensioni dell’azienda, che ci sia velocità di esecuzione e chiarezza nell’individuazione delle opere. Con un monitoraggio dell’esecuzione che coinvolga anche le parti sociali come il governa sembra in effetti intenzionato a fare. Noi, in quanto “piccoli” dobbiamo però migliorare e rafforzare la nostra capacità di fare rete. Muoverci insieme e coordinarci meglio, pur nella salvaguardia delle individualità, per poter avere una forza contrattuale maggiore.
Se vogliamo trovare qualche elemento di positività nello scenario delineato dalla pandemia c’è forse quello che l’emergenza ha costretto molte attività a recuperare rapidamente ritardi che erano stati accumulati nel corso degli anni. Penso al miglioramento della capacità di far rete a cui accennava ma anche nello sfruttamento commerciale del web, attività in cui le piccole aziende italiane sono indietro rispetto ai concorrenti esteri…
E’ vero e infatti in questi mesi abbiamo assistito ad una deciso aumento della presenza su internet di artigiani e piccole imprese. Quelle che utilizzano anche il canale on line sono che sono raddoppiate passando dall’ 8 al 16%. Un numero ancora insufficiente ma un incremento notevole in poco tempo. L’altra strategia che le piccole attività hanno adottato per sopravvivere è stata la riconversione delle linee produttive. Esempio tipico le aziende tessili che ora hanno iniziato a fare anche mascherine.
E con le banche come sta andando? Tra regole europee sul credito più stringenti e crisi molti temono una stretta ai finanziamenti, soprattutto nel momento in cui i prestiti non rimborsati inizieranno inevitabilmente ad aumentare…
Noi scontiamo una difficoltà di accesso al credito che è precedente alla pandemia e dovuta a diversi fattori. La garanzia pubblica sui prestiti fino a 30mila euro però sta funzionando bene, quindi per finanziamenti fino a questa cifra non ci sono, al momento, gravi problemi. Al di sopra il discorso cambia, la fascia 30-40mila euro è ad esempio considerata dalle banche “area di fallimento di mercato” perché tra costi di istruttoria e rischi il finanziamento non è più conveniente. In generale posso dire che siamo troppo dipendenti dal sistema bancario. Per questo stiamo lavorando per diversificare i canali di finanziamento. Pensiamo soprattutto alla creazione di “fondi territoriali” che investano nelle piccole attività del territorio. E’ una soluzione che contiamo di rendere operativa nel giro di qualche mese.
Quindi, per fare un esempio concreto, un cittadino di Pavia potrebbe investire una quota dei suoi risparmi, siano 1.000 o 10mila euro, in un fondo che finanzia attività artigianali ed imprenditoriale dell’area pavese?
Esattamente, l’idea è questa. Così facendo riusciremmo a ridurre le dipendenza dalle banche e anche a recuperare quel rapporto di vicinanza territoriale che una volta era prerogativa dalle banche locali. Un legame che nel tempo, anche per effetto delle regolamentazioni europee del settore, si è andato via via sfilacciando.
Presidente guardiamo avanti. Questa situazione di emergenza finirà, speriamo il prima possibile. Cosa serve per migliorare la competitività delle piccole attività italiane?
I nostri artigiani realizzano prodotti bellissimi, in tutti i campi. Però il contenuto tecnologico di questi prodotti è ancora basso. Questo è l’elemento su cui dobbiamo lavorare di più e per farlo servono un salto di qualità in termini di conoscenze e competenze. Questo anche per sfruttare appieno le grandi rivoluzioni tecnologiche che stiamo vivendo, quella della digitalizzazione e quella della transizione verde. Sono convinto che i nostri artigiani possano avere molto da dire anche in questi campi.
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