La gloriosa squadra allenata da Wayne Rooney naviga nelle ultime posizioni della seconda serie britannica, ma ciò che preoccupa di più sono i debiti enormi del club: il tutto a causa di una gestione fallimentare di chi doveva rilanciare il club e del mancato arrivo di chi ha promesso di salvarlo
La parte peggiore della storia rischia di non essere la classifica già piuttosto anemica. Perché il futuro remoto ha contorni ancora più spaventosi di quello prossimo. In questa stagione, infatti, il Derby County non sta lottando solo per salvarsi dall’incubo della retrocessione nella terza serie del calcio inglese, sta combattendo per evitare la propria estinzione. Il club è sommerso da una montagna di debiti. E i modi per rimborsare i creditori non sono ancora del tutto chiari. Senza contare che il passaggio di proprietà, annunciato lo scorso novembre, non si è ancora concretizzato. Una situazione grottesca che sta grattugiando i nervi dei tifosi, che martedì sera hanno dovuto ingoiare l’ennesimo rospo.
I calciatori del Derby, che non ricevono gli stipendi da gennaio, si sono fatti travolgere per 4-0 dal Cardiff City. Un risultato che Wayne Rooney, allenatore dei Rams, ha definito deludente, ma che esprime alla perfezione il cammino di una squadra che galleggia al diciottesimo posto della classifica della Championship e che da tredici stagioni va alla ricerca di una promozione che puntualmente svanisce come una bolla di sapone. Il 2015 sembrava l’anno della svolta. Perché la proprietà americana del Derby aveva deciso di vendere il club a Mel Morris. Un nome che assomigliava molto a una garanzia. Perché l’uomo d’affari non solo aveva accumulato buona parte del suo patrimonio sostenendo la King, la società dietro al gioco per smartphone Candy Crush Saga, ma era anche un grande tifoso del Derby County, uno nato a pochi chilometri da Pride Park. La favola del benefattore pronto a dare nuovo lustro al club è durata poco. E le speranze dei tifosi si sono sciolte come una zolletta di zucchero in un mare di lacrime.
Nel dicembre del 2016 Morris aveva provato a guidare una rivolta contro la FA, affermando che i diritti televisivi della cadetteria inglese erano sottostimati e che andavano ridistribuiti in maniera diversa. Una protesta che lo aveva trasformato in moderno Robin Hood. Almeno per qualche tempo. Ora l’immagine di Morris è molto diversa. Nel corso della sua gestione l’imprenditore ha speso circa 200 milione di sterline e ha fatto saltare 10 allenatori. Senza mai centrare l’obiettivo sportivo della risalita in Premier League. Il problema è che il club di oggi non sembra aver fatto molti passi avanti rispetto a quello che nel 2008 è retrocesso in Championship con appena 11 punti in classifica, record negativo della storia del campionato inglese. Anche perché oggi il Derby County assomiglia molto a una scatola vuota. Nel 2019 il club ha venduto Pride Park a Morris per una cifra vicina agli 80 milioni di sterline (92.6 milioni di euro) e lo ha ripreso in leasing per 40 milioni. Secondo quanto riportato dal Guardian, dietro l’operazione ci sarebbe la Rams Investment Limited “ossia una società vicina a Henry Gabay, un uomo d’affari turco-svizzero che è stato arrestato in Francia per uno scandalo di evasione fiscale in Germania ma ha respinto ogni accusa”.
Gabay ha parlato con il Guardian e con la BBC e ha messo a tacere la questione affermando che le “fake news non hanno limiti”. Eppure alcuni documenti del catasto sembrano smentirlo. Non solo la Rams avrebbe dei diritti su Pride Park, ma l’impianto non potrebbe essere venduto senza il permesso della Rams Investment Limited. Il portavoce del Derby ha prima ribattuto che la situazione è frutto di un errore del catasto che sarà risolto quanto prima dal club, poi ha affermato he non c’è alcun prestito che lega insieme il Derby e la Rams Investments Limited. Ma non finisce qui. Perché nel corso del tempo le perdite del club sono aumentate. Così dopo qualche mese Morris ha deciso di cercare altri finanziatori. Prima ha ricevuto un prestito di circa 30 milioni di sterline dalla MSD Holding, di proprietà di Michael Dell, esattamente il fondatore dell’omonima società informatica a stelle e strisce, mettendo a garanzia lo stadio. Poi ha richiesto un ulteriore finanziamento, ipotecando il centro sportivo di Moor Farm. Ed è qui che il portavoce del club è tornato a farsi sentire, affermando che il prestito con MSD non è stato aperto dal club, ma dalla società che detiene lo stadio.
Il lieto fine sembrava essere arrivato finalmente a novembre. Allora la Derventio Holdings UK Limited si era fatta avanti per acquisire il Derby County. Un affare non da poco visto che società era di proprietà dello sceicco Khaled Bin Zayed Al Nehayan, cugino di Mansour bin Zayed Al Nahyan, proprietario del Manchester City. L’interesse per la squadra era maturato dopo che nel 2019 lo sceicco aveva provato ad acquistare, senza successo, il Newcastle (con Mike Ashley, presidente dei Magpies, che aveva anche messo pubblicamente in dubbio la reale ricchezza di Khaled Bin Zayed Al Nehayan). Dopo aver raggiunto un accordo, la cessione del club doveva essere chiusa entro Natale 2020. Solo che l’affare non si è ancora concretizzato. La BBC ha provato a chiedere spiegazioni alle due parti dell’accordo, ma tanto il club quanto lo sceicco hanno preferito non rispondere. Una fonte vicina a quella che dovrebbe essere la nuova proprietà si è limitata a dire che il preliminare è vincolante sia per l’acquirente che per il venditore. Tutto è fermo, anche se nessuno è ancora riuscito a capire perché. Ma è qui che va in scena l’ennesimo colpo di teatro. In attesa delle firme, infatti, Morris è ancora il proprietario e presidente del club. Un ruolo che gli conferisce i pieni poteri in fase decisionale. Eppure l’uomo d’affari ha voluto ascoltare il parere di Khaled Bin Zayed Al Nehayan su questioni di vitale importanza del club come il perfezionamento del prestito di cinque giocatori nell’ultimo giorno di mercato e, soprattutto, la conferma di Rooney sulla panchina dei Rams. La salvezza sembra un obiettivo alla portata di questo Derby. La sopravvivenza, forse, un po’ meno.