Proprio i primi giorni di marzo scorso iniziava il primo lockdown duro per proteggersi dalle pandemia crescente. Un anno è passato e più o meno, per le donne e madri italiane, si è svolto così (anche la vita è stata meno dura per chi è rimasta in regioni gialle oppure ha avuto la possibilità di passare la clausura fuori dalle città).
Due mesi chiusi in casa, magari relativamente piccola e anche in cinque o sei persone, con ragazzi e bambini costretti a usare i pochi device presenti, a volte solo lo smartphone dei genitori. Un’estate dove probabilmente si è fatto poco e nulla, perché in tantissimi si sono ritrovati senza soldi, visto che interi settori dell’economia si sono fermati. E poi l’inizio di un nuovo anno scolastico che presto si è rivelato un vero incubo: le quarantene, ma soprattutto le continue chiusure a singhiozzo per mano di governatori incapaci di capire le conseguenze psicologiche di decisioni così drastiche sugli studenti e sui loro genitori. Che non hanno potuto più contare sull’aiuto dei nonni o magari su baby sitter a volte troppo costose.
Ironia della sorte: con lentezza esasperante, il Cts ha finalmente capito che le scuole chiuse portano conseguenze drammatiche e chiesto a gran voce di tenerle aperte. Ma è servito a poco o nulla. Mentre l’ex presidente del consiglio Giuseppe Conte cercava sempre una mediazione tra la società e la politica, il nuovo Dpcm di Mario Draghi – nonostante le pompose dichiarazioni sulla scuola aperta del neoministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi – ha applicato in maniera brutale le misure chieste dagli esperti, che di nuovo avevano cambiato idea.
Tutto ciò senza operare alcun, minimo, compromesso rispetto al dolore sociale anzi, dando “in pasto” le famiglie ai governatori, quando invece da tempo si invocava la necessità di misure decise a livello nazionale. Tanto che da oggi, ad esempio, tutti gli studenti lombardi, compresi i bambini piccoli per cui la Dad non esiste, staranno a casa. Anche se la regione non è rossa e i negozi restano aperti. Un’assurdità.
Su come faranno le famiglie a gestire bambini di 20 mesi o tre anni, ma anche sette o otto, lavorando al tempo stesso e con un anno di fatica estrema alle spalle è un mistero. La ministra Bonetti promette congedi parentali e 200 milioni, che sono veramente pochissimi. Ma poi i congedi parentali spettano solo alle dipendenti e solo quelle non in smart working, come se lo smart working non fosse un lavoro vero! Non solo: non tutte le madri (o padri) possono interrompere i propri lavori. Perché, specie per le donne, sparire per alcuni mesi può avere conseguenze devastanti sulle carriere.
E i lavoratori autonomi? Quali sostegni avranno? E come si recupererà il tempo perso della didattica, visto che le fantasiose dichiarazioni di scuole aperte d’estate rimarranno sulla carta (sono pronta a scommetterci qualunque cifra?). Anche le insegnanti, ricordiamo, sono usurate da un anno faticosissimo per loro, dove si sono fatte in quattro per poco più di mille euro al mese.
Come in altri settori, anche rispetto alla condizione femminile la pandemia è stata la cartina di tornasole di tutto ciò che già non funzionava. Il lavoro, anzitutto, se è vero che dei centomila che hanno perso il lavoro lo scorso dicembre 99mila sono donne. Percentuali più che bulgare.
Sono saltati subito i lavori precari, intermittenti, legati ai servizi alla persona, quelli che davano meno reddito, quasi sempre femminile, quelli che non hanno ammortizzatori sociali. Per non parlare dei lavori in nero. “Da tempo le madri li hanno lasciati”, mi dice una mamma campana. Non sono neanche conteggiati.
Ci ritroviamo così con un milione di nuovi poveri, giovani e donne, soprattutto. Famiglie anche, tra le più colpite. Ci ritroviamo madri che vedono i propri figli regredire linguisticamente, socialmente, cognitivamente, specie se con qualche disabilità, a causa della scuola che manca perché non si è investito in tracciamenti e tamponi, tanto chiuderle è facile, basta un’ordinanza.
Infine non sappiamo quante donne avrebbero voluto separarsi e non hanno potuto, di sicuro sappiamo che la violenza famigliare è cresciuta – e come potrebbe essere altrimenti, vista la clausura feroce cui sono state confinate le famiglie – anche se noi ne veniamo a sapere solo quando muore una donna, purtroppo sempre più spesso.
Ma forse la cosa più deprimente in questo 8 marzo 2021 è vedere come il potere rimanga fermamente in mano maschile. È caduto un premier uomo ed è subentrato un altro uomo. È caduto un Commissario straordinario all’emergenza uomo e ne è subentrato uno uomo. È caduto un capo della Protezione civile uomo ne è subentrato uno uomo. Lo stesso per il capo della polizia. I ministri sono per lo più uomini, i governatori delle regioni tutti uomini tranne la governatrice umbra. Draghi si circonda di tecnici. Tutti uomini. Nei talk show in tv la maggioranza è maschile, quando c’è una donna spesso è una su quattro. Nei giornali, le firme “prestigiose” sono quasi sempre maschili. Insomma la vita di noi donne è nelle mani di uomini, spesso anziani, che pure decidono delle nostre vite e di quelle dei nostri figli. Nulla è cambiato, in Italia, da questo punto di vista. Come dimostra il palco dell’Ariston, dove una direttrice d’orchestra si dice orgogliosa si chiamarsi “direttore” (come se fosse legittimo chiamare un direttore “direttrice”) e dove alle donne è stato somministrato il discorsetto moralistico della Palombelli, che ha invitato le donne a “lavorare duro”, come se già non lo facessero senza essere riconosciute.
C’è poco da stupirsi allora se le crescite di contraccettivi abbiano avuto un’impennata e si stima che che l’anno prossimo si scenderà sotto la soglia psicologica dei 400.000 nati, soglia a cui senza pandemia si sarebbe arrivati nel 2032. Mentre i giornali di gossip sono pieni di attrici e varie figure che affollano i reality che restano incinte, le donne italiane i figli non li fanno più. Senza un lavoro vero, senza nidi ed asili, senza sentirsi rappresentante da altre donne e dunque più protette, in mezzo ad una pandemia di cui non si vede la fine e che stravolgerà il nostro modo di vivere di qui al futuro – e anche se non sappiamo come sicuramente non sarà in meglio – perché fare un figlio? Con quali forze economiche e psicologiche?
Ormai si punta alla sopravvivenza, non è tempo di sogni, gli anni Settanta sembrano lontani secoli. Neanche le immigrate, le ultime tra le ultime, quelle che non possono neanche utilizzare il reddito a causa del feroce vincolo dei dieci anni di cittadinanza che l’Europa ci chiede di cambiare, ne fanno più, sicuramente non come prima. Forse, se il calo demografico continuerà feroce, i maschi anziani che decidono delle nostre esistenze cominceranno a preoccuparsi delle loro pensioni. E di chi li accudirà. Ma non è detto che questo migliorerà la nostra condizione, perché con una girandola ideologica ormai vige il pieno opportunismo, potrebbero decidere di importare badanti da fuori. Donne, ovviamente, perché cambiare i loro pannoloni sporchi è compito femminile.
Un pensiero infine, alle vere invisibili. Le donne immigrate che non possono accedere al reddito di cittadinanza, come dicevo prima. Le badanti, appunto, che o hanno perso il lavoro o sono state costrette a blindarsi in casa con gli anziani senza poter più uscire per evitare contagi. Le prostitute, anche, che in massa hanno smesso di lavorare senza nessun sostegno perché nessuno sa chi siano. Anche per loro questo 8 marzo è un anno zero. Anche per loro sono mesi amari e privi di speranza. Cosa e chi gliela restituirà, cosa e chi ce la restituirà, è veramente difficile dirlo.