Ibrahimovic canta a Sanremo. Magari cantasse soltanto: presenta, recita (e ci può stare), accetta passaggi in moto da sconosciuti (discutibile in tempi di Covid), corre e palleggia da infortunato sul palco dell’Ariston (non il massimo per la sua contrattura), sbeffeggia i compagni di squadra durante le gag (decisamente evitabile). E mentre Ibra faceva tutto questo, il Milan lotta, fatica, inciampa contro l’Udinese ma si rialza contro il Verona. Gioca da squadra vera. La partita di ieri poteva essere un calvario per i rossoneri. Si presentavano al Bentegoni reduci dal brutto 1-1 del turno infrasettimanale e da una striscia negativa iniziata nel derby di appena 2 vittorie in 6 partite, scivolati a meno 6 dalla vetta, con la pressione della Roma e una marea di assenze, non solo Ibra, ma anche Theo Hernandez, Calhanoglu, Rebic, Bennacer. Contro la banda di Juric c’erano tutti i presupposti per una disfatta, forse quella definitiva per i sogni scudetto ma non solo, perché perdere altri punti avrebbe intaccato classifica e morale.
Invece no. Il Milan ha vinto. Ha vinto bene, giocando male ma non era il caso di andare troppo per il sottile. Punteggio netto (2-0), risultato mai in discussione, interpretazione tattica perfetta da parte di Pioli, prestazione di alto livello del gruppo e dei singoli, del solito Franck Kessié, ormai autentico leader dello spogliatoio, ma anche dei vari Krunic, Dalot (i due match winner), Saelemaeker, Calabria, Meitè. Titolari o riserve, sono i gregari di una squadra che era stata assemblata in estate senza troppe pretese attorno al totem di Ibrahimovic e un paio d’altri punti fermi, ma che nessuno immaginava potesse avere la qualità e la mentalità per lottare per le prime posizioni proprio per il valore minore degli altri elementi della rosa. Sono gli stessi compagni che Ibra ha “canzonato” dal palco dell’Ariston, mentre palleggiava con Donato Grande, il campione di Powerchair Football, dicendo “fai passaggi migliori di quelli della mia squadra”.
È stata solo una battuta, nulla di grave, anzi, se vogliamo anche una delle più riuscite al Festival. Però chissà quanto avranno sorriso i suoi compagni. La sua presenza a Sanremo come ospite fisso è stata importante per la consacrazione dell’Ibra personaggio televisivo, ma non è stata una bella parentesi per il Milan squadra e società. Permettere che il tuo giocatore più rappresentativo (infortunato o meno poco cambia, la partecipazione era prevista da prima) se ne vada per una settimana intera, sia più concentrato su copioni e canzoni che sugli allenamenti, in un momento cruciale della stagione, significa riconoscere in un certo senso la superiorità del calciatore rispetto a quella del gruppo, di Ibra rispetto al Milan. La grandezza del campione svedese è indiscutibile, così come il ruolo che ha avuto sotto tutti i punti di vista, forse persino più psicologico che tecnico, nella rinascita rossonera. E ci sta che lui, alle porte dei 40 anni, cominci a guardarsi intorno, a pensare ad un futuro fuori dal calcio, per cui Sanremo era un’occasione troppo grossa da rifiutare, probabilmente concordata (o meglio, accettata) già al momento del rinnovo. Allenatore, giocatori e società gli devono esser grati, ma pure ricordarsi di essere il Milan, soprattutto ora che è di nuovo vero Milan. Ieri l’hanno fatto i suoi compagni, quelli che non sanno passare la palla. In attesa che Ibra torni a cantare anche sul campo, non solo a Sanremo.