LE CARTE - Ecco la ricostruzione del giudice, che ha ordinato due arresti per quanto avvenuto nella casa di riposo di Marsicovetere, tra fine settembre e metà ottobre: "Privati delle scarse risorse economiche in cambio di una assistenza che si traduceva nella mera accelerazione della loro morte". Le indagini hanno accertato che locali come medicheria, palestra e addirittura la camera ardente erano stati adibiti a stanze da letto. Nessuna prevenzione anti-Covid e ospiti positivi trasferiti in strutture abusive
Il 3 novembre 2020 la Basilicata contava appena 54 morti dall’inizio della pandemia, ben 22 erano anziani ospiti della casa di cura ribattezzata “Casa Covid”. Tutti deceduti in poco più di un mese, tra il 29 settembre e il 2 novembre. “Una vera e propria strage con pochi sopravvissuti”, si legge negli atti dell’inchiesta condotta da carabinieri del Nas di Potenza e coordinata dal procuratore Francesco Curcio, dall’aggiunto Maurizio Cardea e dal sostituto Anna Gloria Piccininni che hanno individuato come causa la “dissennata” gestione sanitaria dei ricoverati. In carcere, con l’accusa di omicidi colposi ed epidemia colposa, sono finiti Nicola Ramagnano, titolare della struttura, e Romina Varallo che di fatto gestiva uno dei plessi a Marsicovetere, in provincia di Potenza.
Il quadro che emerge dalla lettura degli atti è inquietante. Persone anziane, incapaci di provvedere autonomamente alle proprie necessità, abbandonate a sé stesse. E poi nessuna misura di prevenzione di contrasto al Covid: ai militari, infatti, i dipendenti hanno dichiarato che non c’era nessuno addetto al rilevamento della temperatura, non c’era un termoscanner o un termometro digitale, non era stato fornito alcun tipo di dispositivo di protezione individuale agli operatori che autonomamente erano costretti a comprare mascherine e guanti. Nessuno indossava tutte protettive né tantomeno visiere. E anche quando era stata accertata la presenza di casi positivi non era mai stata disposta alcuna sanificazione degli ambienti.
In quella struttura, a fronte del numero massimo di 22 ospiti, in realtà erano presenti oltre 40 persone: un dato sul quale tuttavia non c’è certezza dato che agli inquirenti non è stato neanche risalire a un completo elenco degli ospiti. Un caos che aveva portato alla diffusione generale del virus nella struttura: il controllo disposto dalle autorità nei primi giorni di ottobre aveva permesso di scoprire che 4 ospiti era già deceduti e dei 38 ospiti già 23 erano positivi mentre gli altri 15 erano in attesa dell’esito del tampone. Alla conclusione degli accertamenti soltanto 2 anziani risultarono negativi. E chiaramente anche per gli operatori la situazione era drammatica: nella struttura lavoravano 2 operatori generici, 5 operatori socio sanitari, un infermiere e 2 inservienti dei quali otto risultarono positivi al coronavirus.
I magistrati della procura di Potenza hanno parlato di una “situazione determinatasi per il modo criminale con cui la stessa era gestita” spiegando che l’amministrazione della Rssa “non procedeva in alcun modo ad attivare le apposite procedure sanitarie previste dall’attuale normativa” come sanificazioni, isolamento, sottoposizione a tampone di tutti gli effettivi ospiti, ma anzi in un caso era stato deciso il trasferimento, senza alcuna precauzione e senza comunicazione agli organi sanitari, di una donna che era già risultata positiva. L’arrivo della anziana in una casa di riposo nel vicino comune di Brienza aveva così permesso di generare un nuovo focolaio. Non solo.
Dopo la chiusura di una struttura a causa del sequestro disposto dalla procura a ottobre, Ramagnano e Varallo, secondo l’accusa, avevano trasferito gli ospiti presso strutture abusive “come se gli anziani – scrivono i magistrati – fossero per loro come in effetti erano solo e soltanto una insostituibile fonte di guadagno da spremere in qualsiasi modo fino all’ultimo respiro vitale privandoli delle scarse risorse economiche in cambio di una assistenza che non fornivano e che anzi si traduceva nella mera accelerazione della loro morte”.
Le indagini hanno infatti accertato che persino locali come la medicheria, palestra e addirittura la camera ardente erano stati adibiti a stanze da letto per gli ospiti in sovrannumero. In questi locali “erano presenti dei divani utilizzati anche come letti”. I sopralluoghi effettuati dalle autorità sanitarie hanno inoltre appurato che la permanenza in quei luoghi aveva generato negli anziani delle gravi conseguenze: agli investigatori, uno dei medici ha raccontato che “appariva evidente – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – che gli anziani ospitati presso la detta struttura e da lui visionati sembrava non ricevessero un’assistenza adeguata difatti venivano notati in loro segni di stordimento e paura”.
A fronte di una retta che si aggirava tra gli 800 e i 1.100 euro al mese, gli anziani ricevevano un trattamento disumano. Ma neppure quei controlli bastarono a fermarono gli indagati. Il 20 novembre, infatti, Romina Varallo viene fermata dai carabinieri mentre si trovava in auto con due anziani che stava trasferendo dalla struttura abusiva di Marsicovetere segnalata dai carabinieri in un’altra sempre abusiva dove già si trovavano altri anziani: la donna, ignara di essere intercettata, chiama Ramagnano per spiegare la vicenda e chiedere consigli: “Digli che li hai portati a fare un giro”.