Il Newham Community Project, una delle banche del cibo più famose di Londra, dà viveri ormai a duemila persone a settimana. Nella maggior parte dei casi si tratta di studenti, soprattutto indiani, vittime di un sistema universitario che “munge rette esose". E vista l'impossibilità di lavorare nell'ospitalità causa lockdown, "l'80% degli studenti italiani è tornato a casa per frequentare lezioni online", spiegano dall'agenzia EU Students in the UK. E i prossimi 24 mesi non saranno nel segno del ritorno in presenza
“La situazione è drammatica, a raccontarlo mi vengono le lacrime”. Elyas Ismail parla chiaro, senza nascondere sbigottimento e disperazione. Lui è l’organizzatore del Newham Community Project, una delle banche del cibo più famose di Londra da quando un servizio sulle tv britanniche ha mostrato code di centinaia di studenti internazionali, prevalentemente indiani, in attesa di viveri di prima necessità. Lui però non se lo sarebbe mai aspettato. “Siamo partiti servendo 50-60 persone del vicinato nell’est di Londra (aree tra le più povere della capitale), poi hanno cominciato a rivolgersi a noi studenti che morivano di fame. Un mese fa sono venuti in 1700, la scorsa settimana siamo saliti addirittura a duemila”, dice Ismail, rammaricandosi per il fatto che per la prima volta in 10 mesi lo scorso martedì è rimasto senza scorte e ha dovuto rimandare a casa degli studenti a pancia vuota. Il Comune offre il 25% degli aiuti, il resto è donato dalla comunità. Gli studenti in coda sono vittime di un sistema universitario che “munge rette esose e si serve di agenzie di reclutamento senza scrupoli”, ci spiega Ismail: “In cerca di opportunità migliori gli studenti indiani e le loro famiglie vendono tutto quello che possono per pagare all’università fino a 19mila sterline all’anno. Le agenzie poi falsificano i documenti per provare che gli studenti hanno fondi sufficienti per mantenersi, presupposto per ottenere il visto di studio”. Il colpo di grazia è arrivato dal lockdown che li ha privati dell’opportunità di lavorare per pagare affitto e cibo.
Emergenza povertà giovanile – Tra aprile e settembre 2020, Trussell Trust che gestisce i 3/4 di un network di duemila food bank britanniche, ha incrementato del 47% la distribuzione d’emergenza di pacchi di cibo in tutto il Regno Unito, con 2600 pacchi al giorno consegnati a bambini. Il 14% delle famiglie britanniche non ha potuto permettersi di nutrirsi in modo appropriato, e l’impatto peggiore è stato sui giovani dai 12 ai 24 anni. Dati ufficiali rivelano che nei primi sei mesi della pandemia i pacchi di cibo distribuiti da 134 food bank indipendenti sono aumentati dell’88% rispetto all’anno precedente.
Difficile dare un quadro completo però visto il proliferare spontaneo di organizzazioni che aiutano la comunità ad affrontare l’emergenza povertà. A Haringey, il quartiere a nord di Londra dove convivono indigenti e intellettuali benestanti, l’organizzazione Collage Arts, che promuove l’integrazione sociale attraverso le arti, ha organizzato raccolte di cibo da distribuire alle famiglie più bisognose, ma anche di tablet e connessioni internet. “Prima del lockdown gestivamo programmi con 80 ragazzi dagli 8 ai 28 anni, adesso ne abbiamo 130. Durante la pandemia la povertà li ha costretti in spazi ridotti, a rischio violenza domestica, e spesso senza computer per comunicare con l’esterno – dice Steve Medlin, direttore artistico di Collage Voices -. Per loro abbiamo pensato a servizi di counseling e creato una piattaforma in cui possono dare voce alle loro storie”.
E gli studenti italiani in Regno Unito? – Sugli oltre 16mila studenti italiani che ogni anno arrivano nel Regno Unito oltre alla pandemia si è abbattuta la Brexit. “L’80% dei miei studenti è tornato in Italia a frequentare lezioni online, perché con il lockdown non c’è più la possibilità di lavorare nell’ospitalità. Il rimanente 20% ha una situazione ‘stabile’ e riceve cassa integrazione e sostegno dai padroni di casa – ci dice Jessica Ganino, fondatrice e direttrice di EU Students in the UK, agenzia che aiuta gli studenti europei ad iscriversi alle università britanniche. Jessica spiega che mentre lo scorso settembre, Covid e l’imminente Brexit hanno fatto da stimolo ai giovani, molti dei quali hanno sfruttato la cassa integrazione per iscriversi all’università puntando a professioni più sicure e qualificate, le iscrizioni registrate entro gennaio 2021 hanno subito un drastico calo del 40%. “Di questi tempi lo scorso anno avevo almeno un centinaio di richieste di informazioni alla settimana, ora sono una ventina – dice Jessica- Molti studenti italiani mi chiedono se tornare o meno visto che al momento avranno accesso alle aule solo quelli che hanno bisogno di laboratori. Non penso che qui in Uk vedremo un ritorno fisico all’università nei prossimi sei mesi, molte faranno blended learning, ovvero un mix di apprendimento a distanza e in presenza, addirittura per i prossimi 24 mesi”.
Cicatrici a vita per la ‘generazione Covid’ – A scoraggiare i giovani, studenti o meno, italiani quanto internazionali, è la mancanza di lavoro, con il tasso di disoccupazione giovanile che in Gran Bretagna è salito al 14% e con oltre 350mila giovani di 18-24 anni che non lavorano da sei mesi . “Stare senza lavoro per sei mesi all’età di 18-20 anni riduce i redditi di tutta la vita di una percentuale compresa tra il 12% e il 16% – spiega il professor Gianni De Fraja, autore di una ricerca del Centre for Economic Policy Research -. In generale questo ha danni di lungo periodo per l’intera economia di una nazione perché si riduce la formazione di capitale umano e si perde una generazione di lavoratori. Un fenomeno questo che secondo De Freja è importante da considerare per chi fa politiche per l’impiego.
(Nella foto: food bank, immagine d’archivio)