Madè Neumair non crede alle spiegazioni fornite dal fratello su quello che è accaduto la sera del 4 gennaio, quando sono morti il padre Peter e la madre Laura Perselli. La sua lettera diffusa dall'avvocato Bertecchi è una replica alle dichiarazioni dei legali dell'indagato: "Ci vuole ben poco a capire che la sua confessione fosse un passo dovuto al quadro indiziario a suo carico"
Madè Neumair non crede al fratello Benno. Fin dal giorno successivo alla scomparsa dei suoi genitori aveva capito che ad uccidere papà Peter e mamma Laura era stato proprio lui, il trentenne muscoloso che faceva il supplente in una scuola media di Bolzano. Adesso che Benno ha confessato, Madè, che ha 26 anni e fa il medico a Monaco di Baviera, non crede alle spiegazioni e alla ricostruzione sommaria fornita dal fratello su quello che è accaduto nella loro casa in via Castel Roncolo 22, in una zona residenziale della città. Lascia capire che non si è trattato di un delitto d’impeto neppure nel caso del padre, 63 anni, il primo ad essere stato strangolato da Benno con una corda da arrampicata. Tanto meno nel caso di Laura Perselli, 68 anni, uccisa allo stesso modo poco dopo, quando è rientrato a casa. Ma a non convincere la sorella sono pure le ragioni di un delitto spietato. Un litigio con Peter per la contribuzione economica alla vita familiare? Il rifiuto di portare a spasso il cane della nonna? Madè non ci crede e sembra intenzionata a percorrere fino in fondo la strada processuale, per ottenere giustizia e verità.
Poche ore dopo la comunicazione ufficiale della Procura della confessione di Benno, la sorella ha scritto una lettera, che ora ha diffuso attraverso il suo avvocato, Carlo Bertacchi, che la assiste in quanto parte civile. “Non credo ad un sentimento di pentimento da parte di Benno e ci vuole ben poco a capire che la sua confessione, resa immediatamente dopo il ritrovamento del corpo senza vita di una delle sue due vittime, che presentava ovvi segni di violenza, fosse a quel punto un passo dovuto al quadro indiziario a suo carico e non l’effetto di una dissoluzione, o schianto, di tutte le difese di negazione e di rimozione, attuate nelle settimane successive al fatto”.
Le parole sono scelte con cura e replicano in modo diretto a quello che avevano dichiarato i difensori Flavio Moccia e Angelo Polo in un comunicato diffuso ieri (8 marzo), sostenendo che Benno è pentito e affranto. Madè continua: “La notizia della confessione mi ha raggiunta attraverso la stampa. Non è un traguardo. In questo momento per me rappresenta semplicemente un’ulteriore svolta che forse faciliterà il nostro percorso in quello che fino a ieri vedevo dinanzi a me come un processo puramente indiziario”. Il terrore di Madè era che non si arrivasse mai alla verità. “L’indicibile fatto che Benno Neumair (lo cita così, con il nome e il cognome, quasi fosse un estraneo, ndr) abbia ucciso a sangue freddo la mia mamma e il mio papà la sera del 4 gennaio, per me è stato violentemente e dolorosamente evidente fin dal primo pomeriggio del 6 gennaio, come sanno gli inquirenti e le persone a me più care. Pensando alle prime settimane seguenti all’accaduto, stento a credere come io sia riuscita a mantenere la calma e la concentrazione nel trambusto e nel dolore più annientante, vivendo nella paura che la verità non venisse mai alla luce”.
Madè conferma quindi di essere stata la prima a riferire agli inquirenti i suoi sospetti. Poi ricorda i suoi genitori: “Li sento vicinissimi ogni giorno, mi hanno dato la forza di alzarmi ogni volta la mattina, mi stanno continuando a dare tutto quello che mi hanno sempre dato nel modo più puro. Ho vissuto quei primi giorni con le immagini in televisione di un Benno a braccia larghe che si appoggiava alla balaustra della terrazza dei miei genitori scrutando arrogantemente in basso verso i giornalisti e i carabinieri, poco dopo lamentandosi con me al telefono su quanto fosse nauseato, irritato da tutte le ‘strane domande’, sentendo nelle varie interviste la sua voce gelida fabbricare spontanee teorie depistanti e palesi menzogne”.
Madè conclude la sua riflessione con una morale amara. “Il 4 gennaio ho provato sulla mia pelle che il bene non sempre vince il male, che l’amore di una mamma e di un papà a volte può non bastare, che le parole giuste spesso non ci sono, che nessuna possibile condanna potrà mai compensare quello che in poche ore mi è stato tolto a mani nude. Credo però ancora fermamente che la verità possa e debba vincere. Il mio cuore in questo momento è colmo dell’amore che sento fortemente per i miei genitori, della gratitudine nel confronti dell’Arma, degli inquirenti e dei miei legali, della vicinanza che sento per la mia famiglia da parte di un mondo intero, del bene e dalla luce che riesco a vedere nonostante tutto nella mia vita, della ‘vita che vuole la vita’, come diceva sempre mia mamma”.
Intanto, in attesa della perizia psichiatrica, le indagini continuano. Anche perché il movente del duplice omicidio non è stato chiarito. La famiglia sembra compatta a sostenere la tesi della premeditazione, almeno nell’uccisione della mamma, e quella del freddo calcolo con una confessione fatta apposta per sostenere una diagnosi di seminfermità di mente.