E’ caos sulla presenza a scuola dei figli dei lavoratori essenziali. Nel giro di un week end sono cambiate le carte in tavola e se fino a domenica i presidi avevano il dovere di accoglierli in aula, lunedì mattina a seguito di una nota del 7 marzo del capo di Gabinetto del ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi, hanno dovuto (in teoria) mandarli a casa. In realtà, visto che la comunicazione da Roma è arrivata quando i dirigenti si erano già organizzati e avevano già annunciato alle famiglie dei che i loro figli sarebbero potuti andare a scuola, questi ragazzi nella maggior parte degli istituti sono stati accolti ma da martedì non c’è scampo: per loro si torna alla didattica a distanza. In classe potranno esserci solo disabili e ragazzi con bisogni educativi speciali.

Bianchi, di fronte alle richieste delle Regioni, ha preferito fermare le bocce in attesa di “approfondimenti”. Tradotto: tra qualche giorno potrebbero eventualmente tornare in classe i figli dei sanitari ma la questione non è di facile soluzione. In queste ore molte scuole hanno convocato i consigli d’istituto per affrontare la situazione ma la direttiva ministeriale non lascia spazio ad interpretazioni.

Una baraonda nata dalla circolare del 4 marzo scorso del capo dipartimento Max Bruschi che nonostante il decreto del Presidente del Consiglio di due giorni prima non citasse i figli dei lavoratori essenziali, ricordava che “salvo ovviamente diversa disposizione delle ordinanze regionali o diverso avviso delle competenti strutture delle Regioni, da verificare da parte degli Usr, restano attuabili le disposizioni del Piano Scuola 2020-2021 nella parte in cui prevedono che vada garantita la frequenza scolastica in presenza degli alunni e studenti dei figli di personale sanitario o di altre categorie di lavoratori, le cui prestazioni siano ritenute indispensabili per la garanzia dei bisogni essenziali della popolazione”.

Il provvedimento firmato da Bruschi ha messo in moto la macchina degli uffici scolastici regionali e territoriali che hanno cercato con i dirigenti scolastici di trovare una soluzione per ottemperare alla chiusura delle aule e allo stesso tempo riempirle degli alunni figli di queste categorie: c’è chi ha stabilito una quota; chi ha definito delle professioni; chi ha accolto tutti i richiedenti. Dall’ufficio scolastico della Regione Lombardia venerdì scorso è partita una nota della dirigente Augusta Celada che richiamava il “necessario e primario obbligo di rispetto delle misure di prevenzione” mettendo in secondo piano la questione dei lavoratori essenziali ma evitando di definire il tutto, lasciando la patata bollente nelle mani dei presidi.

In Piemonte, domenica, il capo dell’Usr Fabrizio Manca si è affrettato a chiedere ai suoi dirigenti di accogliere solo i ragazzi disabili. A tirare la giacchetta al ministro è stato il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio che ha chiesto “l’elenco delle categorie professionali i cui figli potrebbero richiedere la frequenza scolastica”. Pronta la risposta del professore che attraverso il capo di Gabinetto ha escluso i ragazzi dei lavoratori essenziali.

Una confusione che non ha aiutato i dirigenti degli uffici scolastici regionali. “Ho scritto immediatamente alle scuole – spiega il capo dell’Usr Lazio, Rocco Pinneri – per dire che dove c’è una chiusura non si può consentire la didattica in presenza per i figli dei lavoratori essenziali. Se oggi qualcuno è andato in classe, nessun problema ma da domani non ci dovrebbero più essere. Una delle soluzioni a questo problema sarebbe limitare la platea ma è una questione che deve affrontare il Governo”.

Anche Daniela Beltrame, dirigente dell’Usr Friuli Venezia Giulia ha dovuto correre ai ripari all’ultimo momento: “Abbiamo dovuto fare una nota nella quale abbiamo richiamato cosa intendeva dire il capo Gabinetto: purtroppo non è prevista la deroga alla dad per questa categoria. La questione è complicata. Dall’altro canto non so se i dirigenti scolastici hanno chiaro chi potrebbero essere questi lavoratori, tra l’altro c’è l’obbligo della privacy. Tutta questa chiarezza non c’è stata fino a domenica”.

A difendere Patrizio Bianchi e ad attaccare l’ex ministra Lucia Azzolina sono, invece, le organizzazioni sindacali. Lena Gissi, segretaria nazionale della Cisl Scuola punta il dito contro Bruschi e l’ex ministra: “La nota del ministero dell’ Istruzione del 4 marzo, in cui si richiamano le disposizioni del Piano scuola 2020/2021, approvato con Dm 39/2020 omette di ricordare che non è mai stato emanato l’atto dispositivo con il quale avrebbe dovuto essere regolata la frequenza di figli di personale sanitario o di altre categorie di lavoro. Non sono ammissibili improvvisazioni e fai da te, le situazioni vanno governate a beneficio dell’effettività sia dei diritti che della difesa della salute, in un bilanciamento che non può che essere una responsabilità politica e non certo attribuibile alle singole istituzioni scolastiche”.

Duro anche Rino Di Meglio della Gilda: “La nota di Bruschi ha scatenato un caos: tutti sono diventati lavoratori essenziali e tutti hanno chiesto di mandare a scuola i figli. A questo punto gli altri ragazzi in dad rischiano di diventare una minoranza”. A difendere la sua scelta è invece proprio Lucia Azzolina che è tornata sulla questione dal suo profilo Facebook: “Non potranno andare in classe i figli dei key workers. Eppure, da giugno scorso (nel Piano scuola) è prevista per loro la frequenza scolastica in presenza anche in caso di chiusura: nel governo Conte due lo avevamo garantito in questi mesi”. E a chi le fa notare che manca un elenco dei lavoratori essenziali, l’ex inquilina di viale Trastevere risponde che c’è una legge che li definisce.

Di quanto dice Azzolina non è convinto il presidente dell’Associazione nazionale presidi, Antonello Giannelli: “Il problema è che i cosiddetti lavoratori essenziali non hanno al momento una definizione giuridica. L’essenzialità chi la giudica? Non può essere affidata alla discrezionalità dei presidi. Facciamo un esempio: i medici. Quali sono essenziali? I cardiologi? Solo quelli che si occupano di Covid? Il ministro dell’Istruzione non lo può decidere, dev’esserci una legge del Parlamento”.

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