Lei stessa senza genitori e prima ospite dell’orfanatrofio gestito dalla “Fraternità Nostra Signora”, Djamila ha creato un’associazione che si occupa di alleviare la solitudine di quanti vivono ciò che lei ha sofferto per anni. Detta opera, per il suo peculiare servizio ai poveri: scuola, dispensario e casa per i senza famiglia, è stato protetto dai vicini durante l’attacco a istituzioni ‘cristiane’ nel 2015.
Djamila non ha dimenticato quanto ha ricevuto da questa opera, inserita nel quartiere di Bani Fandou 2 a Niamey. La ferita che l’ha accompagnata nei corso degli anni non si è mai rimarginata e Djamila l’ha trasformata in un solco nel quale sta seminando qualcosa che assomiglia alla speranza.
Con altre persone ha fondato un’associazione che in lingua haussa significa appunto “Aiutare gli Orfani, Taimakon Marayu”. A 25 anni Djamila, che ha studiato con successo diritto, cerca di tradurre nel quotidiano la sofferta saggezza che l’ha resa vulnerabile alla vita. Una fragile storia di sabbia che il Sahel custodisce e poi racconta come fosse la cosa più naturale.
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Un candidato dichiarato Presidente e l’altro che rivendica la vittoria di misura con l’accusa di frode nel secondo turno delle elezioni. Nel mezzo gli oltre 150 partiti (di varie dimensioni e affiliazioni), i mezzi di comunicazione messi fuori uso per una decina di giorni dal net, centinaia di arresti e un popolo col fiato sospeso nell’attesa di ulteriori sviluppi. Per troppo tempo bistrattata, usata e gettata, la democrazia prende la sua rivincita e rinvia al mittente urne e schede elettorali.
I mercanti del tempio hanno fatto della democrazia, che è fondamentalmente ‘partecipazione’, come recitava a suo tempo Giorgio Gaber il secolo scorso, una spelonca di ladri come ricorda il vangelo secondo Giovanni. Tra le due infatti, e lo vediamo soprattutto nell’Occidente, c’è un abisso incolmabile. Tra Mercato Totale e Democrazia non ci sono mediazioni possibili e non a caso, nel vangelo citato, il Cristo scaccia di forza i mercanti e rovescia i tavoli con le banconote e gli schermi coi dati delle borse finanziarie.
Nel Niger, come in altri Paesi del Maghreb e dell’Africa sub sahariana, si sono da tempo installati i mercanti che altro non fanno, se non svendere il popolo con la sua dignità che fonda la sovranità di cui è l’esclusivo depositario. Risorse minerarie, sicurezza alimentare, sistema scolastico e sanitario, acqua potabile, ponti e cavalcavia, migranti e frontiere, armi e velivoli, tutto si svende ad acquirenti interessati, locali e internazionali.
Neppure la religione è esente da questo traffico perché, non raramente, è funzionale al regime che le garantisce spazio pubblico, peso politico e assistenza finanziaria. Quanto al ceto intellettuale, a parte rari e occasionali soprassalti di appelli ai principi costituzionali, esso sembra integrato e dis-integrato dal potere. Gli scenari di uscita della crisi in atto, se non saranno prese decisioni e mediazioni sagge, potrebbe condurre il Paese ad un ritorno verso avventure autoritarie già esperimentate nel passato.
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Sono chiamati ‘Talibé’ (scolari in arabo) e attraversano ogni giorno alcune delle strade della città per mendicare cibo o monete da consegnare al ‘maestro’ (marabout) che li ha inviati la mattina. Sono spesso loro inviati da genitori, poveri contadini di campagna, che non hanno la possibilità di occuparsene, in città. In cambio dell’educazione nella scuola coranica, non sovvenzionata, i bambini in questione sono costretti a mendicare per sopravvivere.
Invisibili dopo un po’ di tempo, riaffiorano tra i viventi in particolari circostanze. Per esempio nelle manifestazioni di piazza i Talibé e altri bambini solitamente ‘invisibili della strada’, diventano improvvisamente attivi e visibili. Forse un gioco o manipolazione dei più grandi, oppure le due cose messe assieme. Di sicuro ci sono loro, d’improvviso ben visibili, tra i copertoni che bruciano e i sassi che sbarrano la circolazione delle macchine e sfuggono i getti dei gas lacrimogeni della polizia. Proprio come gli alunni delle scuole statali, in progressiva deliquiscenza, che riaffiorano quando si tratta di fare memoria degli studenti uccisi sul ponte Kennedy di Niamey nel 1990.
Nessuno di loro c’era, ricorda o sa esattamente perché dimostrare sulle strade e dichiarare lo sciopero nelle scuole pubbliche e private per qualche giorno. Rimane una delle poche cose attraverso le quali rendersi visibili e protagonisti in un sistema che li ignora e li cancella, da decenni, dall’ordine del giorno delle politiche del Paese.
Djamila afferma che “nessuno è inutile perché, anche se poco, ha qualcosa da portare nel mondo”. Lei, per anni accantonata come sabbia, ha scelto di vivere, come una donna.
Niamey, 8 marzo 2021