Un dato che sembra passare in sordina dalle ultime edizioni del Festival di Sanremo è l’apertura di un timido varco su un sottobosco sconosciuto al grande pubblico, che vede protagonisti i nati a cavallo tra il finire degli anni Settanta e la prima metà degli anni Ottanta. Una generazione o due finite in una sorta di limbo, preludio d’un girone infernale dove s’è additati come emergenti a oltranza. NonGiovani quarantenNati in un perenne stato d’emergenza.
Donne e uomini di quasi mezza età che in quindici, venti anni hanno contribuito a tenere viva una scena nata prima di loro – l’allora Indie – costruita dal basso con dischi, live e concerti misconosciuti dalla discografia ufficiale. E che a tratti il cosiddetto mainstream non può più ignorare. Per profitto, prima di tutto.
Perché quella scena, tra studi di registrazione casalinghi, etichette artigianali e pochi produttori illuminati, ha dato innanzitutto prova certificata di poter fare fatturato. Sopravvissuta grazie ad una sterminata attività dal vivo, a sua volta poggiata su maestranze invisibili a tutela zero. Costretta a dichiarare finita l’epoca in cui le case discografiche il fatturato lo intuivano con un certo anticipo senza bisogno di avere in mano un prodotto già riFinito. Investendo nel sommerso degli artisti, oltre una superficie grezza dove si riusciva persino ad intravedere il talento.
Quella generazione di mezzo passata dall’analogico al digitale. Dalla società liquida a quella fradicia, stretta tra il pop rock neomelodico nazionale e la trap, che ha raccolto la lezione della canzone d’autore cercando di traghettarla in qualche nuovo posto. Tornata a riva ancora in vita grazie al meraviglioso disastro prodotto inizialmente dall’ondata della Rete. Che ha distrutto un mercato aprendo al contempo nuovi spazi in termini di visibilità e di ricerca davvero indipendenti. In particolare a chi da quell’onda, oltre a saperla cavalcare, ha capito come difendersi.
Autrici e autori di oggi. Accade per la musica come anche per la televisione, il teatro, la satira o il cinema. Scrittori, registi, sceneggiatori. Professionisti, gente con ventennale esperienza e una precisa visione artistica rinchiusa in una sorta di stage perpetuo. Confinata nella terra di nessuno delle giovani promesse fino all’età del pre-pensionamento dalle leve che li hanno preceduti. Da chi, incapace di confrontarsi realmente con il nuovo, si fa giudice di giovanissimi da forgiare tramite vecchie logiche da Talent s.p.a. (Società per Appalto). Quelli che le nuove ondate sanno coglierle solo quando hanno fatto il triplo giro del web. Sempre certi d’avere in mano i dati del gradimento reale da parte del pubblico. Che celebrano i fenomeni giovanili con distaccato entusiasmo per il timore di non essere più al passo con un tempo che, nel frattempo, è passato anche per loro.
Fino alla prossima scena, costruita con fatica dal basso in altri venti anni di autoproduzione e servita su un piatto al mercato ufficiale. Fatta di nuovi spiragli aperti dai giovani di oggi, che allora saranno nonGiovani, pronti a far fronte ad altri stati d’emergenza pur d’emergere, fieri, dall’anagrafica di loro stessi.