Lo scorso 1 dicembre il procuratore generale Pietro Catalani aveva chiesto una condanna a undici anni e un mese per Massimo Carminati e a 12 anni, 8 mesi e 20 giorni di reclusione per Salvatore Buzzi. Al primo processo di appello, il 20 luglio 2017, quando era stata ribaltata la sentenza di primo grado con il riconoscimento dell’associazione mafiosa, Carminati era stato condannato dai giudici della III Corte d’appello di Roma a 14 anni e mezzo, e Buzzi a 18 anni e 4 mesi
A 18 mesi dalla sentenza della Cassazione che annullò per gli imputati a cui era contestata l’associazione a delinquere di stampo mafioso (416 bis) arriva il verdetto d’appello nel processo bis sul Mondo di Mezzo. Per gli ermellini a Roma i colletti bianchi come i politici coinvolti erano assoggettati al gruppo, guidato da Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, ma si trattava di “corruzione sistematica” e non mafia. Riconosciuta quindi la presenza di due associazioni a delinquere distinte ma non la loro mafiosità ed è per questo che i giudici hanno dovuto ricalcolare le pene per l’ex terrorista nero e il ras delle cooperative.
La prima Corte d’appello di Roma ha condannato a 10 anni l’ex Nar, Massimo Carminati nel processo di appello bis al Mondo di mezzo. I giudici hanno, invece, inflitto 12 anni e 10 mesi a Salvatore Buzzi, il ras delle cooperative romane. Il processo si è celebrato per una ventina di imputati dopo che la Cassazione ha fatto cadere l’accusa di associazione mafiosa e chiesto il ricalcolo della pena. “È stata una condanna molto più dura di quanto ci aspettavamo perché ha considerato più grave il reato di associazione a delinquere semplice. Il pg aveva chiesto 12 anni e 8 mesi. Faremo ricorso nuovamente in Cassazione. Comunque meglio dei 18 anni della volta scorsa” dice Buzzi dopo la lettura del dispositivo.
I protagonisti dell’inchiesta sono tornati non più da detenuti ma da liberi in aula, essendo scaduti i termini di custodia cautelare. La prima scarcerazione, lo scorso 16 giugno, è stata quella di Carminati: l’ex Nar esce dal carcere di Oristano dopo che l’istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini di custodia cautelare, con il meccanismo della contestazione a catena, presentata dagli avvocati Cesare Placanica e Francesco Tagliaferri è stata accolta dal Tribunale della Libertà. Carminati ha lasciato così il carcere dopo 5 anni e 7 mesi di detenzione e per lui è stato disposto l’obbligo di dimora nel comune di Sacrofano. Dieci giorni dopo sono tornati liberi Salvatore Buzzi e l’ex consigliere regionale Luca Gramazio, entrambi erano agli arresti domiciliari. Una liberazione dovuta sempre alla decorrenza dei termini di custodia. “Con questa sentenza il mio assistito è sotto il limite che consente una misura alternativa e quindi potrebbe non tornare più in carcere” dichiara Cesare Placanica difensore di Carminati.
Il processo d’appello bis per il ricalcolo delle pene per 20 imputati si era aperto lo scorso 8 settembre, a quasi un anno dalla sentenza della Cassazione. In aula si sono ritrovati fianco a fianco Buzzi e Carminati mentre per altri imputati invece si è scelta la strada del concordato. Tra questi l’ex consigliere Luca Gramazio (5 anni e mezzo), l’ex ad di Ama Franco Panzironi (3 anni e mezzo), Fabrizio Franco Testa e Riccardo Brugia. Lo scorso 1 dicembre il procuratore generale Pietro Catalani aveva chiesto una condanna a undici anni e un mese per Massimo Carminati e a 12 anni, 8 mesi e 20 giorni di reclusione per Salvatore Buzzi. Al primo processo di appello, il 20 luglio 2017, quando era stata ribaltata la sentenza di primo grado con il riconoscimento dell’associazione mafiosa, Carminati era stato condannato dai giudici della III Corte d’appello di Roma a 14 anni e mezzo, e Buzzi a 18 anni e 4 mesi.
Nel frattempo sono passati definitivamente allo Stato beni per quasi 30 milioni di euro appartenuti ad alcuni degli imputati, tra cui una novantina di opere d’arte che Massimo Carminati custodiva nella sua villa: disegni di Renato Guttuso, dipinti e diverse opere grafiche di Mimmo Rotella, opere a firma di Giacomo Manzù e Giacomo Balla e una serigrafia di Mirò. Un atto che rappresenta l’epilogo delle indagini patrimoniali svolte, su delega della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, nei confronti degli indagati e dei loro prestanome. La sentenza è arrivata a distanza di 7 anni dall’inchiesta e senza più l’accusa di mafia. Fu la Corte di Cassazione, il 22 ottobre 2019, a far cadere l’aggravante mafiosa ex articolo 416 bis, quando i giudici della Sesta sezione penale di piazza Cavour hanno riconosciuto la presenza di due associazioni a delinquere distinte ma non la loro mafiosità. La stessa sentenza stabilì quindi la celebrazione di un processo d’appello bis per il ricalcolo delle pene.