Concorso esterno e voto di scambio politico mafioso. La condanna definitiva, a sette anni e sei mesi, è arrivata pochi minuti fa per Domenico Zambetti, ex assessore regionale lombardo alla Casa durante la giunta di Roberto Formigoni. Il procuratore generale durante la requisitoria aveva chiesto l’assoluzione per il primo capo d’imputazione. Richiesta rigettata dai giudici della Cassazione. L’inchiesta della procura antimafia di Milano risale al 2012 e riguarda i rapporti tra politica e i rappresentanti delle cosche Mancuso e Papalia.
Per Zambetti, che nelle prossime ore si consegnerà, il primo capo d’imputazione riguardava uno “patto di scambio politico-mafioso che prevedeva a fronte dei rappresentanti delle cosche di procurare un pacchetto cospicuo di voti nella misura di circa 4mila preferenze a suo favore, voti che sapeva sarebbero stati raccolti mediante la pressione della forza di intimidazione dell’associazione mafiosa”. Il politico era stato condannato in appello il 23 maggio del 2018 sostanzialmente dimezzando la condanna inflitta in primo grado a tredici anni e sei mesi decisi in primo grado. Questo perché i giudici presieduti da Oscar Magi gli avevano concesso le attenuanti generiche.
La Suprema corte ha confermato anche le altre le condanne emesse in appello. Sei anni Ambrogio Crespi, fratello di Luigi ex sondaggista di Silvio Berlusconi, a 8 anni Ciro Simonte, a 4 anni e 4 mesi per Eugenio Costantino. Per quest’ultimo – ritenuto il referente della cosca Di Grillo-Mancuso – la condanna si somma in continuazione a una precedente pena di 11 anni, e diventa quindi pari a 15 anni e 5 mesi.
Durante la requisitoria del processo di primo grado, tenutasi per cinque udienze e conclusasi il 5 novembre 2015, l’accusa sostenne che un “grave patto di scambio politico-mafioso” stretto da “un esponente di spicco della Regione Lombardia”, Zambetti, con i presunti affiliati alla ‘ndrangheta Eugenio Costantino e Giuseppe D’Agostino, aveva “falsato il risultato di elezioni importanti come le Regionali del 2010″. Zambetti, all’epoca esponente del Pdl e assessore della giunta Formigoni, era stato arrestato con l’accusa di aver comprato un pacchetto di 4mila preferenze – decisivo per la sua elezione con 11.217 voti nelle Regionali 2010 – pagando 200mila euro a due colletti bianchi della ‘ndrangheta. Nella sua requisitoria, il pm aveva evidenziato la “completa disponibilità dell’assessore ad accontentare” una volta eletto “le richieste di Costantino e D’Agostino” e la “compromissione” tra un “esponente di spicco della Regione Lombardia e gruppi mafiosi”.