Calcio

Champions League, la Juve è fuori ma resta la squadra. Allenatori e dirigenti, invece, hanno vita breve

di Lorenzo Giannotti

Il pregiudizio universale del mondo juventino che accompagnò Maurizio Sarri è lo stesso che accolse e tuttora avvolge Andrea Pirlo, almeno fino a ieri sera. Deriso e mai sopportato fino in fondo il primo, incensato e idolatrato il secondo. Folgorato sulla via del Maestro, Andrea Agnelli in due giorni silurò il toscano (decisiva l’eliminazione con il Lione) e ingaggiò il campione del mondo. La repentina sostituzione del timoniere, però, non cambia l’ineluttabile volgere al crepuscolo di un ciclo memorabile.

Una squadra vecchia e sfibrata quella dell’ex allenatore del Napoli, un organico rinverdito e assemblato senza un filo conduttore coerente quello dell’ex centrocampista dell’Italia di Lippi. E un grande responsabile: Fabio Paratici, orfano del proprio mentore Beppe Marotta, ora primo in classifica con l’Inter avviata verso lo scudetto. La rosa è stata costruita senza un progetto tecnico comune con chi siede in panchina; sono stati acquistati giocatori interessanti per un’ottica futura, è vero, ma con una cifra simile a quella sborsata per Kulusewski l’Inter si è acciuffata Hakimi…

Il centrocampo, che avrebbe necessitato di interventi strutturali, non è stato modificato in maniera incisiva; l’attacco è corto e senza Morata è un guaio trovare profondità e punti di riferimento. Sulla fascia sinistra il sostituto di Alex Sandro (già in ambasce da qualche anno) è Frabotta che ha calcato i campi della Lega Pro fino a poco tempo fa, voglio dire, non esattamente Roberto Carlos. Emre Can è stato ceduto con eccessiva disinvoltura per far spazio a un fin troppo lautamente remunerato Rabiot, finora più flop che top.

Nel complesso, la gestione Andrea Agnelli non può essere giudicata che positivamente, al netto dei recenti salti nel buio, per chi scrive poco razionali. Due eliminazioni consecutive agli ottavi di Champions danno la misura precisa di una squadra da rianimare e rifondare, ma non con inserimenti estemporanei e buttati dentro senza possibilità di amalgama. Bensì con un agire di concerto con l’allenatore per creare un progetto che tenga conto sì delle esigenze dirigenziali, ma anche di quelle tecniche per la realizzazione di una rosa competitiva, o che almeno possa ambire al passaggio del turno con il Porto, dicasi Porto (a meno 10 dalla vetta del campionato portoghese, dicasi portoghese!)!

Con tutte le pecche e le difficoltà del caso, Maurizio Sarri riuscì a portare nella bacheca bianconera uno scudetto in una stagione del tutto particolare (scoprimmo il Covid), scontato solo per chi non ha mai visto una partita di calcio, e fu cacciato in maniera indegna fra gli schiamazzi della maggior parte dei tifosi, espiando anche responsabilità dirigenziali a lui non addebitabili. Andrea Pirlo è stato gettato nella mischia dal Presidente Agnelli con un colpo di testa di chi dovrebbe amministrare con giudizio e pragmatismo – giustificando la scelta con il destino del predestinato – trovandosi a meno dieci dalla testa della classifica che pare difficilmente raggiungibile con un gioco così altalenante, ma sarebbe assurdo far pagare ancora a chi siede in panchina colpe di altri.

La squadra resta. Gli allenatori ultimamente hanno vita breve, vanno e vengono. I dirigenti ne hanno di più lunghe, ma non eterne.

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