Enrico Letta si è preso 48 ore per decidere se accettare la guida del Partito democratico. Dopo le dimissioni di Nicola Zingaretti, il partito si prepara all’assemblea del 14 marzo e lavora a una soluzione per poter trovare un leader che non sia solo un reggente, ma traghetti i dem in una delle fasi più delicate: quella dell’appoggio al governo Draghi, l’emergenza sanitaria, l’asse con i 5 stelle (o meglio con Giuseppe Conte) e il congresso nel 2023. Tra le ipotesi più concrete, emersa nelle scorse ore, c’è il ritorno di Letta che però, come scritto da il Fatto quotidiano in edicola, ha chiesto prima garanzie perché il suo passo avanti abbia sostegni solidi e non venga massacrato dalle correnti interne. Intanto in mattinata, l’ex premier ha dato un primo segnale scrivendo un messaggio su Twitter: “Sono grato per la quantità di messaggi di incoraggiamento che sto ricevendo”, si legge. “Ho il Pd nel cuore e queste sollecitazioni toccano le corde più profonde. Ma questa inattesa accelerazione mi prende davvero alla sprovvista; avrò bisogno di 48 ore per riflettere bene. E poi decidere”.
Insomma per Letta, che si è dimesso da parlamentare nel 2015 e attualmente dirige a Parigi la scuola di Affari internazionali di Sciences po, l’ipotesi del rientro in Italia è tutt’altro che remota. Eppure, solo il 7 marzo scorso, proprio l’ex premier aveva provato a sfilarsi: “Con sorpresa ho letto il mio nome sui giornali come possibile nuovo segretario del Pd”, aveva scritto sempre su Twitter. “Quel che penso è che l’Assemblea tutta debba chiedere a Nicola Zingaretti, al quale va la mia stima e amicizia, di riprendere la leadership. Peraltro io faccio un’altra vita e un altro mestiere“. Ma la situazione è in evoluzione e le richieste arrivate compatte da più fronti (in primis Franceschini e Gentiloni) hanno reso l’opzione, al momento, una delle più concrete. Letta, che in “esilio” in Francia è andato dopo essere stato spodestato a Palazzo Chigi da Matteo Renzi, crea sicuramente molti malumori nell’ala più vicina al senatore di Rignano, ma ricompatta tutti gli altri. Proprio Letta, classe 1966, è stato presidente del Consiglio da aprile 2013 a febbraio 2014 e si è dimesso dopo essere stato sfiduciato dalla direzione dem (dopo il tradimento di Renzi). Nella dirigenza del partito ha svolto il ruolo di vicesegretario di Bersani nel 2009.
Dal sostegno al taglio dei parlamentari alle aperture ai 5 stelle – Uno dei nodi principali da sciogliere per il prossimo segretario dem, mentre i sondaggi danno un Pd sempre più in calo (secondo Emg al 14 per cento dietro Fdi), è sicuramente il rapporto con il M5s e il destino della coalizione giallorossa. Una strada che l’ex premier negli ultimi mesi ha sempre sostenuto. A maggio scorso ad esempio, alla domanda se si stessa lavorando a “un’alleanza permanente con i 5 stelle“, disse, intervistato su Radio Capital: “Se continua questa posizione di Salvini e Meloni che sono gli unici leader fuori da qualunque ragionamento europeo, credo che la linea di Franceschini non abbia grande alternativa”. Ma non solo. A metà gennaio scorso, proprio Letta, intervistato dal Corriere, aveva condannato la decisione di Renzi di far cadere il governo: “Follia pura di una sola persona. Già prima del Covid voleva far cadere il governo”, aveva dichiarato. E in quell’occasione l’ex premier aveva anche difeso il governo Conte 2: “Serve un governo forte e netto”. E “non può che essere Conte a guidare l’Italia in questo anno, non vedo come possa essergli impedito”. Letta è stato anche uno degli esponenti Pd (ha ripreso la tessera dopo l’arrivo di Zingaretti alla guida) che si è schierato subito a favore del taglio dei parlamentari, scelta che ha contribuito ad aumentare i suoi favori in campo 5 stelle. Senza dimenticare che l’ex parlamentare ha più volte speso parole positive nei confronti dell’ex presidente del Consiglio: “Tutti buoni a criticare ora, ma ha lavorato in una condizione difficilissima e da far tremare i polsi”, ha detto a luglio parlando della gestione della pandemia di Conte. Mentre a dicembre 2019 diceva: “Il governo giallorosso era l’unico possibile e per questo occorre continuare a rafforzarlo per lavorare nell’interesse del Paese e degli italiani. Non c’era alternativa ieri, dopo la crisi di agosto, e non ce n’è una oggi, quindi credo che il Pd debba lavorare in questa direzione per rafforzare il governo e assicurare stabilità all’Italia“.
Le tensioni sulle candidature e l’ipotesi nome femminile – La carte sulle candidature si scopriranno in assemblea e tra le varie ipotesi c’è anche quella che venga avanzato il nome di una donna in risposta alle polemiche interne sulla scarsa rappresentanza. “Ieri ne abbiamo discusso, è in corso una valutazione”, ha detto una deputata dem all’agenzia Adnkronos. “Tuttavia, visto che si sta lavorando a “soluzione il più possibile unitaria“, ci sono valutazioni in corso sull’opportunità della cosa. Domani, a quanto si apprende, avrebbe dovuto esserci una riunione della conferenza della donne dem ma non è stata confermata. “Una candidatura femminile? Io me lo auguro”, ha detto la senatrice Valeria Fedeli. “Domenica l’assemblea inizia e si aprono le urne, poi ci saranno candidature, raccolta di firme e presentazione delle mozioni. Se ci saranno più candidature, io non posso che augurarmi che ce ne sia anche una femminile”. Un nome sta già circolando: Debora Serracchiani. Chi ha preso tempo è la presidente dem Valentina Cuppi: “Enrico Letta è una figura autorevole”, ha dichiarato a Start su SkyTg24, “ci sono stati anche altri nomi che sono emersi, le candidature si raccoglieranno domenica durante l’assemblea, quindi fino a quel momento si continuerà a ragionare e a capire dove il partito vuole andare. Ci saranno colloqui e interlocuzioni, vedremo nelle prossime ore, ma è l’assemblea il luogo deputato a decidere e a scegliere, quindi attendo domenica”.
Sono grato per la quantità di messaggi di incoraggiamento che sto ricevendo. Ho il #Pd nel cuore e queste sollecitazioni toccano le corde più profonde. Ma questa inattesa accelerazione mi prende davvero alla sprovvista; avrò bisogno di 48ore per riflettere bene. E poi decidere.
— Enrico Letta (@EnricoLetta) March 10, 2021
Da Bettini a Bersani: le reazioni all’ipotesi Letta – L’investitura dell’ex presidente del Consiglio è considerata da molti una soluzione allo stallo del partito, ma non potrà avvenire senza l’accordo di tutte (o quasi) le correnti interne. Per questo nelle ultime ore si susseguono trattative e discussioni interne per riuscire a capire quale è l’opzione migliore da sostenere compatta in assemblea. Stefano Bonaccini, presidente della Regione Emilia-Romagna e nome che potrebbe essere molto gradito dagli ex renziani, ha scritto sui social che “per quanto riguarda il segretario, Enrico Letta è una personalità autorevole e adeguata. Apriamo insieme una nuova fase costituente“. Come dire: va bene Letta, ma non per sempre. Diversa l’opinione del braccio destro di Nicola Zingaretti e tra i promotori dell’asse con i 5 stelle, Goffredo Bettini che, intervistato sul Corriere della sera, ha definito come un “trauma forte, anche sul piano umano e personale” le dimissioni del segretario. E a proposito dell’ipotesi Letta, ha commentato: “E’ una figura molto forte e competente. La stimo e la rispetto. Non avrei alcuna preclusione nel sostenerlo. Tuttavia qualsiasi sia la scelta del nome che prevarrà nell’Assemblea nazionale, essa dovrà garantire quel confronto nel Pd che non può ulteriormente attendere. Per quanto mi riguarda questo confronto lo sosterrò con l’orgoglio di ciò che è stato realizzato da Zingaretti negli ultimi due anni”. Secondo Bettini, c’è stato “uno stillicidio” dentro il partito che “ha riguardato anche me”. A suo avviso Zingaretti “ha aperto la crisi su due questioni fondamentali. La forma del partito e la necessità di un chiarimento sulla sua natura e i suoi compiti. Ha detto con sincerità che non si sentiva più in grado di sciogliere questi nodi. Non so cosa deciderà l’assemblea di domenica. Ma al di là dei nomi, se non si apre da subito un confronto vero attorno a queste domande, non solo il Pd, ma l’intera sinistra subirà un duro colpo”.
La carta Letta può aprire nuove strade per il futuro del partito e magari riavvicinare alcuni tra gli ex che hanno lasciato il partito. Il primo a mandare segnali stamattina era stato Pierluigi Bersani: “Letta e io siamo la prova vivente che in quel partito una volta si poteva lavorare assieme in vera amicizia e in vera lealtà”, ha detto l’ex segretario e ora deputato di Leu ad “Agorà” su Raitre. Tra chi ha dato il suo sostegno all’ipotesi Letta c’è anche l’ex ministro Francesco Boccia: “Letta è tra personalità più autorevoli del Pd. Non da oggi, ma da quando è nato. E se dovesse toccare a lui sarà una di quelle personalità capaci di ricostruire una storia di cui questo Paese ha bisogno. E’ un fondatore del Pd e sono certo che è una personalità che può aiutarci”. Secondo il capogruppo alla Camera Graziano Delrio, “Letta è una personalità di altissimo livello. Lui, come Veltroni, Prodi, Fassino, possono tutti dare una grande mano al Pd”. E se accetterà di essere segretario, dovrà portare il partito al congresso.
Più freddo al momento il ministro del Lavoro Andrea Orlando che, secondo le ricostruzioni, punterebbe a guidare il partito dopo il congresso del 2023 e per il quale l’ipotesi “segretario forte” e subito sarebbe la meno favorevole: “La sinistra in tutto il mondo mette al primo posto dei suoi programmi la lotta alle diseguaglianze dopo aver abbassato per troppo tempo questa bandiera”, ha scritto oggi su Facebook senza però entrare nella discussione sui nomi. “Se però proponi di discutere di questo in Italia vuoi ‘rifare i Ds’ forza politica che per la verità aderì (lo dico anche autocriticamente) ad una visione quantomeno ottimistica della globalizzazione”.