Un recente provvedimento del Garante della privacy offre lo spunto per parlare del difficile equilibrio tra la tutela della privacy e della dignità dei lavoratori e l’esigenza di tutela del principio di buon funzionamento della pubblica amministrazione, spesso invocato per giustificare interventi discutibili.
La lotta ai “furbetti del cartellino” di brunettiana memoria
Un’Azienda sanitaria provinciale aveva deciso di adottare, per la rilevazione delle presenze dei suoi dipendenti, un sistema che imponeva il ricorso a dati biometrici (di cui è di regola vietato il trattamento) per verificare l’effettiva presenza sul luogo di lavoro e combattere il fenomeno dei “furbetti del cartellino”. Il singolo lavoratore doveva, all’atto dell’ingresso in ufficio, utilizzare il badge (su cui era memorizzata la propria impronta digitale) e contestualmente autenticare tale timbratura appoggiando il dito su un dispositivo.
L’azienda sosteneva che un tale trattamento era lecito, da una parte perché si era premurata di proteggere i dati da un punto di vista informatico, cioè attraverso la crittografia degli stessi e l’immediata cancellazione del dato una volta registrato il singolo ingresso. Dall’altra era convinta che la sussistenza di “motivi di interesse pubblico rilevante”, rappresentati dalla necessità di prevenire la commissione di reati contro la pubblica amministrazione e di comportamenti scorretti da parte dei dipendenti, giustificasse di per sé un tale trattamento.
Insomma, una cosa che avrebbe fatto felice il Brunetta ministro dell’ultimo governo Berlusconi, quando affermava di voler istituire tornelli ovunque per eliminare l’assenteismo nella Pa, anche a discapito di diritti inviolabili della persona e del lavoratore. I diritti inalienabili dei lavoratori non possono essere compressi in modo indiscriminato; “purtroppo” per l’Azienda sanitaria tali scelte sono state giudicate illegittime dal Garante della privacy.
Un brutto colpo per tutti coloro che nel pensare ad una riforma del pubblico impiego prendono a modello quella piccola parte del peggio che esiste nella Pa (come ovunque) e non guardano, invece, a quella gran mole di persone che fanno il loro dovere spesso con i pochi mezzi messi a disposizione.
Infatti, secondo il Garante, la presunta lotta contro i “furbetti del cartellino” non giustifica il sacrifico di diritti inalienabili dei lavoratori, come il trattamento di dati biometrici. Ciò per due ordini di motivi:
1. Innanzitutto, perché l’Azienda sanitaria non ha dato conto di aver valutato tutte le soluzioni alternative rispetto al trattamento dei dati biometrici, né ha giustificato perché questa fosse l’unica via per raggiungere il risultato sperato. È il cosiddetto principio di minimizzazione e di valutazione d’impatto. In altri termini, non è detto che una scelta così invasiva sia in assoluto inaccettabile; ma per essere percorribile devono essere state vagliate, in un sistema di bilanciamento degli interessi, tutte le soluzioni alternative possibili e deve essere spiegato perché queste sono state scartate, rendendo chiaro perché il trattamento di dati biometrici sia l’unica ed obbligata via per assicurare il buon funzionamento della Pa.
Teoria ovviamente insostenibile, poiché sarebbe come voler affermare che la Pa non abbia mai correttamente funzionato fino all’arrivo degli strumenti atti a trattare dati biometrici, ma soprattutto che tutte le altre aziende sanitarie, che non hanno operato una scelta simile, siano di per sé inefficienti.
2. Secondariamente, il Garante ha spiegato che l’obiettivo di piena efficienza della Pa non costituisce un diritto di rango superiore rispetto a quello della dignità dei lavoratori e come tale non possa prevalere automaticamente su quest’ultima. Effetto di tali premesse è stata la sanzione all’Azienda sanitaria e l’ordine di blocco del trattamento illegittimo.
Perché il provvedimento è interessante? In primo luogo, perché ricorda ad ogni datore di lavoro (pubblico o privato che sia) che la tutela dei dati dei lavoratori (soprattutto se biometrici e, quindi, connessi con diritti inviolabili) tende a prevalere su eventuali diritti contrapposti, anche se di rango costituzionale, come quello dell’art. 41 (sul diritto alla libera iniziativa economica dell’impresa) e 97,2° comma Cost. (sul buon andamento della Pa).
In secondo luogo, impone un limite invalicabile a chi pensa che l’obbiettivo di “modernizzare” la Pubblica Amministrazione sia un valore assoluto e tale da poter travolgere la dignità dei lavoratori.