di Maurizio Milana*

Il diritto soggettivo del lavoratore dipendente ad astenersi dal prestare attività lavorativa durante le festività, quelle indicate dalla legge e in rosso sul calendario, è sancito nella L. n. 260/49 art. 5 nello specifico e più volte il principio è stato ribadito dalla giurisprudenza. Il datore di lavoro può ordinare al dipendente di presentarsi al lavoro nelle giornate festive ma, se il lavoratore si oppone, il datore non può obbligarlo. Una legge che in oltre 50 anni non ha praticamente subito modifiche e che da almeno 15 anni – la prima sentenza della Corte di Cassazione risale al 2005 – vede la giurisprudenza censurare la condotta delle aziende che hanno spesso disatteso il principio.

La giurisprudenza citata ha ribadito, anche nel 2019, che il diritto alla astensione “non può essere posto nel nulla dal datore di lavoro, potendosi rinunciare al riposo nelle festività infrasettimanali solo in forza di un accordo tra datore di lavoro e lavoratore o di accordi sindacali stipulati da organizzazioni sindacali cui il lavoratore abbia conferito esplicito mandato” (così, da ultimo, Cass., 18887/2019). Le aziende, spesso consapevoli del dato normativo e giurisprudenziale, hanno percorso numerose strade, per così dire alternative, alla richiesta del consenso esplicito ai lavoratori interessati.

Una prima strada ha visto la ricerca di una normativa che derogasse alla legge del ‘49. La ricerca è semplice poiché vi è una unica legge che la prevede, ovvero la L. 520/1952 applicabile però unicamente al settore sanità. Viene spontaneo pensare che se il legislatore avesse voluto inserire altre deroghe, come quella del settore sanitario, avendo avuto come dicevamo oltre cinquant’anni, lo avrebbe fatto. La giurisprudenza ha comunque confermato tale assunto anche sulla scorta dell’art. 14 delle cosiddette preleggi, divieto di estensione analogica salvo casi particolari (la L. 560 non è applicabile ad altri settori).

Un secondo tentativo ha visto la richiesta di un consenso al lavoro festivo al momento della assunzione. Taluni hanno ritenuto che il consenso reso al momento della firma del contratto avrebbe potuto avallare prestazioni lavorative nei festivi per tutta la durata del rapporto. La giurisprudenza, però, ha escluso anche tale strada e infatti, prima il Tribunale di Rovereto, poi la Corte di Appello di Trento, hanno ritenuto come una tale condotta fosse tesa ad aggirare il disposto normativo. Secondo i giudici, in questi casi, vi sarebbe un consenso prestato su una previsione del tutto generica ed indeterminata temporalmente che di fatto imporrebbe, ad esclusiva discrezione del datore di lavoro, di collocare i lavoratori in giornate festive infrasettimanali con evidente finalità elusiva della norma (cfr. C. Appello Trento sent. n. 3/2017).

La terza soluzione è quella maggiormente adottata e, probabilmente, quella più difficoltosa da affrontare: si tratta della contrattazione collettiva. L’idea base è che il consenso dei lavoratori fosse espresso tramite le associazioni sindacali maggiormente rappresentative, inserendo clausole nel Ccnl (Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro), ovvero nell’ambito di contrattazione di secondo livello, con contratti decentrati o aziendali, ovvero con accordi di prossimità (o presunti tali) volti a garantire maggiore occupazione.

Il settore dell’Igiene Ambientale, ossia quello della raccolta della nettezza urbana, vede l’utilizzo di tutte e tre le modalità. Tale comparto vede l’inserimento di una deroga direttamente nel Ccnl, art. 19 comma 5, secondo il quale il lavoratore è tenuto a prestare attività lavorativa nei giorni festivi “in base a previsioni contenute nel contratto di servizio o derivanti da specifiche richieste delle committenza”. A cascata quasi tutte le aziende locali hanno sottoscritto contratti aziendali che integrano e ampliano questa disposizione. Nell’ambito del contenzioso insorto recentemente, un’azienda di Milano ha poi sostenuto che il suddetto integrativo aziendale costituisse in realtà un accordo di prossimità, come tale in grado di derogare alla legge.

Il Tribunale di Milano ha respinto la tesi aziendale negando che tale accordo potesse integrare un accordo di prossimità, e comunque che la deroga potesse spingersi a restringere un diritto soggettivo del lavoratore. Dopo alcuni mesi anche il Tribunale di Firenze, sentenza n. 763/2020, ha dichiarato la nullità dell’art. 19 comma 5 Ccnl Igiene Ambientale, nonché dei contratti integrativi aziendali che si richiamano a tale norma.

Ancora una volta i giudici hanno stabilito che un Ccnl non può derogare un diritto soggettivo del lavoratore. Nello specifico l’art. 19 Ccnl Igiene Ambientale è stato censurato da due Tribunali di città molto popolose ma, mentre il diritto è riconosciuto nelle aule di Tribunale, non è così all’esterno.

Il diritto è sancito ma resta il concreto problema delle deroghe. Pertanto, fino ad un auspicabile intervento del legislatore, teso a recepire la giurisprudenza citata, al lavoratore non resta che rivolgersi al giudice del Lavoro per veder riconosciuto il proprio diritto.

*Avvocato giuslavorista, iscritto nell’Ordine degli Avvocati di Prato dal 2013

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Fecondazione eterologa, la Consulta sollecita il Parlamento: “Grave vuoto di tutela dell’interesse del minore, inerzia intollerabile”

next
Articolo Successivo

“Vita a una mano”, il manuale online per chi ha perso un arto: “Voglio creare una community che si aiuti nella vita quotidiana”

next