Per spiegare perché dire no all’accordo Ue-Mercosur, bisogna comprendere anche le ragioni del fronte più favorevole. Ci sono infatti multinazionali europee parecchio influenti, tra cui molte italiane, a cui questo accordo piace tanto.
Perché con questo accordo si abbattono dazi in entrata e in uscita del valore di svariati miliardi e per un’area di libero scambio che conta circa 800 milioni di persone. Si potrà esportare, ma anche produrre ed importare senza dazi da Paraguay, Argentina, Uruguay e Brasile verso l’Unione Europea. Abbattere questi dazi, soprattutto per i settori agroalimentare, chimico, elettrico, zootecnico ed energetico, comporta vantaggi in termini di abbattimento dei costi notevoli per chi fa della competizione globale la propria religione. Questo è il motivo per cui Italia (con una lettera firmata da Ivan Scalfarotto, mai smentita dal resto del governo), Spagna, Portogallo, Repubblica Ceca, Danimarca, Estonia, Finlandia, Lettonia e Svezia spingono sulla Commissione Europea per velocizzare un accordo che si negozia ormai da decenni.
C’è però anche il rovescio della medaglia. Dall’altra parte della barricata ci sono infatti i popoli indigeni dell’Amazzonia (già da tempo attaccati dal land grabbing delle loro terre ancestrali e con spazi sempre più ridotti), le associazioni ambientaliste di tutto il mondo, i difensori dei diritti umani e anche i sindacati e le associazioni di produttori agricoli europei (anche italiani, gente che lavora e produce rispettando regole che fuori dall’Ue non esistono) che provano ad insorgere contro l’ennesimo atto di violenza del neoliberismo contro il nostro Pianeta e contro la sostenibilità delle nostre economie.
Non tutti sono però appiattiti sul sostegno al trattato, la Francia ad esempio qualche giorno fa si è dichiarata contraria, Irlanda e Austria (con una votazione in Parlamento che dovrebbe fungere da esempio per il nostro) hanno sollevato grossi rilievi sulla bontà dell’accordo e sulla possibilità di ratificarlo, mentre in Germania le pressioni di ambientalisti e produttori locali hanno cambiato l’approccio, dapprima favorevole, del governo federale.
Teoricamente la Commissione europea avrebbe anche fatto il suo compitino, annunciando l’imposizione di maggiori vincoli sociali e ambientali negli accordi commerciali, vecchi e nuovi. Ma spesso e volentieri, agli ottimi propositi e dichiarazioni, non corrispondono altrettanto impavide azioni concrete. Come quando nel 2016 il Parlamento europeo approvò a larghissima maggioranza una mia relazione di iniziativa per contrastare, attraverso strumenti concreti, le violazioni dei diritti umani e ambientali delle multinazionali europee fuori dall’Ue, a cui però la Commissione non diede mai alcun seguito.
Per questo non mi sento affatto rassicurato dalle parole di Dombrovskis, ove sostiene che stanno lavorando per far rispettare i vincoli ambientali dell’accordo, soprattutto in Brasile. Perché mentre il Commissario loda gli sforzi fatti, nel 2020 la deforestazione ha distrutto 13mila chilometri quadrati di polmone del pianeta proprio in Brasile, sui 21mila totali scomparsi in un solo anno. Il più grande patrimonio di ossigeno e biodiversità del nostro mondo che progressivamente si riduce per far posto a compagnie energetiche, allevamenti e colture intensive. Da quando Jair Bolsonaro è salito alla guida del grande Stato sudamericano, i livelli di deforestazione, già molto preoccupanti, sono aumentati in modo progressivo.
Tra i principali protagonisti di questa strage contro l’ecosistema, ci sono gli allevamenti di pollame e bovini (per il mercato globale della carne), le coltivazioni di soia, di agrumi e le nuove concessioni per zucchero e riso. Quasi la metà della soia che entra in Ue arriva proprio dal Brasile e la gran parte di questa proviene dalle aree deforestate. Mentre secondo uno studio indipendente finanziato dal gruppo europeo di cui faccio parte (Greens/EFA), l’Italia in Europa è seconda solo alla Germania per quanto concerne la quota di importazione di carne da allevamenti dell’area Mercosur (140.000 tonnellate l’anno verso l’Ue, quota che con l’accordo aumenterebbe notevolmente). Da non trascurare e anche il costo in termini di emissioni, che potrebbero aumentare di un terzo con l’aumento del commercio.
Infine, vale la pena ricordare che il Brasile è uno dei più grandi importatori e utilizzatori di fitofarmaci del pianeta, molti dei quali vietatissimi in Ue. In pratica esportiamo veleno utile alla distruzione della biodiversità e attraverso le importazioni mettiamo sulla nostra tavola i frutti (o la carne) di quelle sostanze da noi vietate e finanziamo la distruzione del polmone del nostro pianeta.