In questi giorni il numero di postivi è di nuovo in crescita. La pandemia probabilmente ha un andamento stagionale, nel senso che d’inverno la malattia è più aggressiva e i contagi salgono rapidamente. La stagione calda invece con ogni probabilità ci darà una grande mano e realisticamente verso maggio-giugno potremo rilassarci un po’. Misure ragionate possono far scendere la curva dei contagi prima, misure irrazionali (i guanti per i clienti del supermercato, ipoclorito sulle strade) sono inutili e soprattutto dannose.
È significativamente utile la chiusura indiscriminata delle scuole? Un’analisi razionale indica che solo il 2% dei focolai deriva dal contesto scolastico. Non ha quindi più senso concentrarsi sul restante 98%? Certo, ove ci sia una forte diffusione anche quel 2% può servire, ma la scuola deve essere l’ultima a chiudere e la prima a riaprire, lasciando i ragazzi a casa il minor tempo possibile. Lasciare le scuole aperte il più possibile non è una battaglia ideologica, ma un approccio razionale nel contrastare la pandemia.
La chiusura delle scuole è una di quelle misure che causa danni sociali, formativi, educativi enormi alle future generazioni. Il pedagogista Daniele Novara la definisce “una decisione sbagliata e punitiva per i bambini”. I giovani tramettono di meno il virus e ne sono meno colpiti: sotto i 20 anni il 70% dei positivi è asintomatico, il 20% ha deboli sintomi e il restante 10% può essere considerato paucisintomatico, anche se sono possibili delle reazioni gravi.
La seconda ondata non è stata causata dall’apertura delle scuole, infatti dopo il 7 gennaio non c’è stata alcuna altra ondata. La Campania che le ha tenute praticamente sempre chiuse da marzo a dicembre è finita in zona rossa mentre il Lazio, che invece ha chiuso solo le superiori da metà novembre, è rimasto quasi sempre in zona gialla.
Chi ha eseguito i test a tappeto ha visto che i positivi possono entrare nelle scuole ma poi non c’è significativa trasmissione. Con mascherine, distanziamento e norme igieniche sono tra i luoghi più sicuri, anche se un luogo sicuro in assoluto non può esistere durante una pandemia. C’è chi dice che non ci sono sufficienti dati sulle scuole. Quello scolastico è il contesto ove c’è maggiore possibilità di tracciamento e tra i più sorvegliati, perché se avviene un contagio in una classe si possono rintracciare tutti i compagni di classe e genitori, mentre al bar, al ristorante o sui mezzi pubblici è problematico o di fatto impossibile ricostruire la catena di propagazione.
Alcuni ipotizzano che il quadro dovrebbe drasticamente mutare a causa della cosiddetta “variante inglese”. Leggiamo sul sito dell’Istituto Superiore di Sanità:
1. In Italia, si è stimato che la cosiddetta ‘variante inglese’ del virus Sars-CoV-2 ha una trasmissibilità superiore del 37% rispetto ai ceppi non varianti, con una grande incertezza statistica (tra il 18% ed il 60%).
2. I bambini, in particolare i bambini più piccoli, sembrano essere meno suscettibili all’infezione da SARS-CoV-2 rispetto ai bambini più grandi e agli adulti, il che sembra verificarsi anche per la cosiddetta variante ‘inglese’, che manifesta un aumento cospicuo della trasmissibilità in tutte le fasce di età.
3. Al momento non sono emerse evidenze scientifiche della necessità di cambiare le misure, che rimangono quindi quelle già in uso, l’uso delle mascherine, il distanziamento sociale e l’igiene delle mani.
Se si arriva a invocare che è necessario chiudere le scuole, bisognerebbe prima chiedere misure ben più drastiche negli altri settori.
Si è diffusa una percezione distorta del rischio effettivo, che esiste ma è inferiore rispetto ad altri contesti, non basata su dati oggettivi e fonti affidabili, ma alimentata dai titoli sensazionalistici dei giornali. Ad esempio, in un articolo sulle scuole di Bergamo scopriamo che ci sono ben 71 classi in quarantena. Tuttavia, i postivi sono solo 78, quindi di fatto il contagio nella stragrande maggioranza dei casi non si è diffuso.
Nella maggior parte (non sempre ovviamente) delle classi in quarantena i bambini positivi sono asintomatici e il contagio non si espande. Vediamo che cosa succede in contesti dove davvero c’è motivo di preoccuparsi.
Le scuole accolgono per un tempo limitato quasi dieci milioni di persone, un sesto della popolazione italiana. Gli ospiti delle Rsa sono invece circa lo 0.4%, eppure un terzo dei decessi è avvenuto proprio lì dentro, nonostante le precauzioni. I titoli delle notizie qui danno un quadro della reale gravità.
Coronavirus, inchiesta su RSA del Salento. Tredici ospiti sono morti mentre i contagi hanno interessato al momento 33 anziani e 8 operatori;
Quarantatré anziani ospiti morti, 28 ancora positivi. Si aggrava il bilancio del focolaio esploso in una delle tre RSA della fondazione Ca d’Industria a Como;
COVID: focolaio in RSA del Barese, 3 morti dopo 110 contagi;
COVID, focolaio nella RSA di San Casciano. Sei morti. Positivi diciassette anziani e undici operatori.
Ecco i contesti davvero ad alto rischio: arriva il Covid e contagia un numero rilevante di ospiti e operatori, con molti decessi. Con i vaccini si spera che queste notizie oramai appartengano al passato. Chiudere le scuole (dove le regole con tutti i limiti possibili si rispettano) e lasciare i ragazzi liberi di affollare i centri commerciali, ristoranti o peggio in contatto con i nonni è una strategia che fino ad adesso non ha portato ad alcun controllo dell’epidemia e che non funzionerà: rischia persino di peggiorare l’epidemia e infatti non è stata adottata da nessun paese europeo nella seconda ondata, tranne alcune regioni italiane come la Campania. Perché ripetere sempre gli stessi errori?