di Massimo Fabiani, Ilaria Pagni, Riccardo Ranalli e Lorenzo Stanghellini* (fonte: lavoce.info)
L’arrivo di un’ondata di crisi aziendali e di fallimenti è più che probabile. La legislazione attuale non offre gli strumenti giusti per affrontarla. Se si vuole garantire una transizione ordinata va dunque corretta. Ma è necessario farlo in fretta
Servono strumenti adeguati
La crisi economica determinata dalla pandemia richiede strumenti nuovi che tengano conto del mutato contesto. Decine di migliaia di imprese già soffrono e le difficoltà si accentueranno nei prossimi mesi, quando cesseranno gli effetti della moratoria sui debiti bancari e verrà meno il blocco dei licenziamenti. D’altra parte, i sussidi pubblici non possono essere sufficienti e, soprattutto, non devono produrre il mantenimento in vita a ogni costo di imprese decotte.
Per evitare di trovarsi impreparati a gestire la transizione occorrerà aver prestabilito per tempo strumenti adeguati. Tali strumenti dovranno consentire sia la ristrutturazione delle imprese ancora in grado di produrre reddito, sia un’uscita dal mercato rapida e il meno possibile traumatica di quelle che non lo sono più.
Il mercato italiano è composto prevalentemente da piccole industrie. Di fronte alla crisi, non disporranno di risorse sufficienti a procurarsi un’assistenza qualificata e la loro dimensione non è tale da poter loro assicurare la necessaria attenzione da parte dei creditori istituzionali. È necessario, quindi, che gli strumenti siano semplici e accessibili.
Né la legge fallimentare vigente, né il Codice della crisi, pensati in un momento storico assai diverso da quello attuale, sono adeguati alle esigenze e ai numeri elevati delle attività economiche che hanno subito l’impatto delle restrizioni e del mutamento di abitudini indotto dall’emergenza sanitaria.
L’ondata in arrivo sui tribunali
Secondo le stime di Banca d’Italia, il 12 per cento delle imprese è a rischio di sottocapitalizzazione (cfr qui e qui). Ancora peggiori sono le analisi di Cerved, secondo cui il 6 per cento delle imprese è addirittura a rischio di insolvenza nel 2021, con tassi di sofferenza più acuti nel settore dei servizi e fra le piccole imprese (studio Cerved Rating Agency, Il Sole–24 Ore, 10 febbraio 2021).
Molte sono le variabili, ma è ragionevole ritenere che l’ondata delle crisi attese superi di molto i numeri storici delle procedure concorsuali in Italia. È necessario evitare di riversare sui tribunali fallimentari un numero eccessivo di ricorsi ed è necessario contenere i costi (prededucibili) che si producono con l’ingresso delle imprese nelle procedure concorsuali. Se l’attività dei tribunali sarà paralizzata, ogni speranza di una gestione delle crisi ordinata e attenta ai diritti e agli interessi di tutti gli attori in gioco è destinata a spegnersi.
La prospettiva del fallimento, oggi ancora punitivo, può inoltre indurre molti imprenditori a nascondere la gravità della crisi, rendendola ancora più grave e sprecando risorse pubbliche e private che potrebbero invece essere rimesse in circolazione a beneficio di tutta la collettività.
È difficile affrontare con gli strumenti attuali una situazione di recessione senza precedenti. L’alterazione degli equilibri contrattuali e lo sconvolgimento dei programmi delle imprese dovuta alla pandemia richiedono un intervento combinato che potenzi sia gli strumenti a disposizione dell’autonomia negoziale, sia quelli in materia di crisi d’impresa.
L’eccezionalità della situazione richiede uno sforzo corale di progettazione e di concretezza, al fine di contemperare la rapidità dell’intervento e la necessità di semplificazione con l’esigenza di mantenere il ruolo di garanzia dei tribunali, a presidio della tutela dei diritti.
Gli obiettivi
Due sono gli obiettivi da conseguire, di pari importanza.
a) Consentire alle imprese che sono in grado di superare la crisi di ristrutturare celermente il debito su basi negoziali, con una protezione del patrimonio durante le trattative che non obblighi al passaggio attraverso le procedure della legge fallimentare e permetta loro di adeguare le relazioni contrattuali al mutamento di contesto, grazie a meccanismi che favoriscano la rinegoziazione dei contratti.
b) Consentire l’uscita dal mercato delle imprese la cui sorte è stata definitivamente compromessa dalle conseguenze dell’emergenza sanitaria, mediante una procedura semplificata, ma pur sempre rispettosa dei diritti dei soggetti coinvolti, così da rimettere rapidamente in circolazione risorse umane (in termini di imprenditorialità, di competenze e di occupazione) ed economiche (“creative destruction”); il tutto in un clima non colpevolizzante, fondamentale in una situazione in cui gran parte delle crisi ha cause esterne all’impresa e lo stigma associato all’insolvenza appare particolarmente ingiusto.
Occorrono interventi mirati
Per il raggiungimento del primo obiettivo, occorrono interventi mirati, quali:
a) strumenti semplici e accessibili, con una standardizzazione degli atti e la predisposizione di modelli;
b) un divieto di proporre azioni a tutela del credito o di risoluzione del contratto mentre il debitore tratta con i propri creditori;
c) forme di composizione assistita ispirate al modello dell’Ocri (organismo di composizione della crisi d’impresa) previsto dal Codice della crisi, per le varie ipotesi in cui la direttiva europea 2019/1023 del 20 giugno 2019 prevede la designazione di un esperto che assista il debitore nella negoziazione coi propri creditori;
d) un regime di incentivi per la riduzione del debito, per la sua conversione in capitale o strumenti finanziari partecipativi e per gli apporti di nuovo capitale;
e) il riconoscimento del rango super-senior alla nuova finanza finalizzata al salvataggio delle imprese ancora produttive;
f) incentivi alla rinegoziazione che rafforzino l’autonomia privata, riducendo così i ricorsi al giudice finalizzati a provocare una correzione dell’assetto contrattuale alterato dalla pandemia.
Per raggiungere il secondo obiettivo, pensando in particolare alle imprese di dimensioni ridotte ma non marginali, occorre introdurre, in via transitoria e fino al superamento delle conseguenze economiche della pandemia, un procedimento snello e flessibile, che abbia come capisaldi una rapida esdebitazione, una gestione degli attivi efficiente, se del caso con l’ausilio di soggetti specializzati presenti sul mercato, un accertamento dei debiti dell’impresa affidato in una prima fase a un professionista di nomina pubblica; il tutto senza sacrificare la tutela dei diritti.
Non c’è tempo da perdere
Occorre avviare al più presto un confronto con le istituzioni e le categorie a ogni titolo coinvolte nella gestione della crisi delle imprese o da questa interessate, nel quale siano messi a fattor comune i molteplici spunti provenienti dalla direttiva 2019/1023, dal Codice della crisi, dai lavori dell’Uncitral sull’insolvenza delle piccole e medie imprese, dal “Report on the Treatment of MSME Insolvency” della Banca Mondiale e dal documento “Reviving and Restructuring the Corporate Sector Post-Covid: Designing Public Policy Interventions” del Group of Thirty.
Animati dal desiderio di far bene, si può fare presto. Il tempo per agire è poco.
*È Professore Ordinario di Diritto commerciale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Firenze. Ha ottenuto il Master in Laws alla Columbia University School of Law, New York. E’ stato Academic Visitor nella Faculty of Law della University of Cambridge e nella Faculty of Law della University of Oxford, presso le quali ha tenuto seminari, e Visiting Scholar nella University of California at Berkeley, School of Law e nella Columbia University, New York. È membro dell’Associazione Disiano Preite per lo studio del diritto dell’impresa. Ha operato come consulente nella stesura della normativa speciale per il caso Parmalat e nella riforma della legge fallimentare. Nel 2007 ha pubblicato “Le crisi d’impresa fra diritto ed economia”, il Mulino.