Sono passati dieci anni, ma la produzione agricola e l’industria ittica faticano a scrollarsi di dosso la reputazione legata alla scarsa sicurezza degli standard alimentari, nonostante circa il 75% del suolo contaminato sia stato trasportato in luoghi di stoccaggio appositi. Oltre 17mila ettari di terreni agricoli sono stati abbandonati a Fukushima, distrutta l’11 marzo 2011 da un terremoto di magnitudo 9 al largo della costa nordorientale, il più forte mai registrato, poi seguito prima da un enorme tsunami e poi dalla fusione di tre reattori nucleari presso la centrale di Fukushima Daiichi, distrutta dalla potenza dell’onda. Persero la vita quasi 20mila persone, mentre più di 160mila residenti furono costretti a fuggire dalla più grave catastrofe nucleare dall’incidente di Chernobyl del 1986.
Da allora, il governo ha speso circa 250 miliardi di euro (32.1 trilioni di yen) per ricostruire la regione di Tohoku devastata dallo tsunami, ma le aree intorno all’impianto di Fukushima rimangono off-limits, le preoccupazioni per i livelli di radiazioni persistono e molti degli sfollati si sono stabiliti altrove. Mentre lo smantellamento dell’impianto richiederà altri decenni e ulteriori spese nell’ordine dei miliardi. Dieci anni dopo il disastro, tuttavia, la vita è tornata alla normalità in molte parti della Prefettura di Fukushima. In alcune delle città come la stessa Fukushima o Koriyama vi sono addirittura pochi segni che l’incidente sia mai avvenuto. Ed il ruolo del nucleare nel mix energetico del Giappone è di nuovo al centro delle discussioni, visto che il paese mira a raggiungere la neutralità carbonica entro il 2050 per combattere il riscaldamento globale.
I sostenitori affermano che l’energia nucleare è vitale per la decarbonizzazione, mentre i critici indicano il costo, la sicurezza e la difficoltà nel disporre dei rifiuti come motivi per abbandonarla. “Quelli che parlano di energia atomica sono persone nel ‘villaggio nucleare’, che vogliono solo proteggere i propri interessi”, ha dichiarato l’ex primo ministro Naoto Kan in una conferenza stampa la scorsa settimana. Un sondaggio del quotidiano Asahi di febbraio ha rivelato che a livello nazionale il 53% della popolazione è contrario al riavvio dei reattori, rispetto al 32% a favore. A Fukushima, solo il 16% si è detto favorevole. Solo nove dei 33 reattori commerciali rimanenti in Giappone hanno ottenuto l’ok per il riavvio in base agli standard di sicurezza post-Fukushima, e solo quattro sono operativi rispetto ai 54 prima del disastro. L’energia nucleare ha fornito solo il 6% del fabbisogno energetico del paese nella prima metà del 2020 rispetto al 23,1% per le fonti rinnovabili e quasi il 70% per i combustibili fossili.
Onu: “Le radiazioni non hanno danneggiato la salute della popolazione locale” – Secondo quanto elaborato dal comitato scientifico delle Nazioni Unite sugli effetti delle radiazioni atomiche (Unscear), le radiazioni causate dal disastro nucleare di un decennio fa non hanno danneggiato la salute della popolazione locale. Il presidente di Unscear Gillian Hirth, “non sono stati documentati effetti negativi sulla salute tra i residenti di Fukushima che potrebbero essere direttamente attribuiti all’esposizione alle radiazioni” del marzo 2011.
La preoccupazione per i potenziali effetti sulla salute dell’incidente è aumentata dopo le segnalazioni di un’alta incidenza di cancro alla tiroide nei bambini che vivevano nella prefettura di Fukushima al momento del disastro. Unscear e altri esperti hanno attribuito i tassi più elevati di questo tipo di tumore all’uso di apparecchiature a ultrasuoni altamente sensibili e al gran numero di bambini che sono stati esaminati. Tra il 2011 e il 2015 sono stati individuati 116 casi di cancro alla tiroide effettivo o sospetto tra più di 300mila persone di 18 anni. “Sulla base delle prove disponibili, il grande aumento del numero di tumori della tiroide rilevati tra i bambini esposti non è il risultato dell’esposizione alle radiazioni”, ha detto Unscear. “Piuttosto, sono il risultato di procedure di screening ultrasensibili che hanno rivelato la prevalenza di anomalie della tiroide nella popolazione non rilevate in precedenza”, ha aggiunto.
Gerry Thomas, direttore della Chernobyl Tissue Bank e presidente di patologia molecolare presso l’Imperial College di Londra, ha detto al Guardian di non essere sorpresa che Unscear e altri organismi abbiano escluso un collegamento tra i casi di cancro alla tiroide e le radiazioni di Fukushima. “Le dosi di radiazioni tiroidee dopo Fukushima erano circa 100 volte inferiori rispetto a quelle di Chernobyl a causa di una serie di fattori”, ha detto Thomas. Greenpeace Giappone avverte però che vaste aree vicine all’impianto, dove gli ordini di evacuazione sono stati revocati negli ultimi anni, non sono ancora state adeguatamente decontaminate , lasciando i residenti esposti a livelli potenzialmente dannosi di radiazioni.
Agricoltura e pesca – Ad oggi appena il 32% dei territori lasciati incolti è tornato ad essere produttivo in 12 municipalità colpite dal sisma, e il riso rimane la principale coltura, sebbene ad un prezzo di mercato inferiore, e rappresentando il 40% di tutte le vendite dei prodotto agricoli della regione. Analogo discorso per i prodotti ittici, con la pesca che è ripartita gradualmente a poco più di un anno dalla catastrofe, e in aree limitate, sfiorando attualmente appena il 20% del fatturato generato prima del 2011. Risultati che verranno ulteriormente penalizzati da un eventuale riversamento nell’oceano dell’acqua contaminata necessaria a raffreddare i reattori, accumulata ormai a livelli insostenibili all’interno del sito, e per la quale bisogna trovare una soluzione entro l’estate. Il premier Yoshihide Suga ha ribadito come il governo non intenda ritardare la decisione, assicurando la continuazione del processo di ricostruzione della prefettura con il maggiore impegno possibile. Malgrado le rassicurazioni del governo sullo sversamento dell’acqua contaminata e l’assenza dei rischi per l’ambiente dopo le meticolose operazioni di filtraggio, le associazioni dei pescatori esprimono la loro contrarietà ribadendo che qualsiasi decisione del genere causerebbe un danno di reputazione senza rimedio per l’immagine della prefettura.