È scattata stamattina all’alba l’operazione Coccodrillo nell’ambito della quale, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, il gip Valeria Isabella Valenzi ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per Giuseppe Lobello, accusato di concorso esterno con la ‘ndrangheta, trasferimento fraudolento di valori, intestazione fittizia, estorsione, riciclaggio e autoriciclaggio. Altri sei sono finiti ai domiciliari
Giuseppe Lobello era il collettore delle estorsioni imposte dalla ‘ndrangheta nei cantieri edili del catanzarese. Un ruolo che, secondo le accuse, l’imprenditore arrestato dalla guardia di finanza svolgeva per conto della cosca Arena di Isola Capo Rizzuto. È scattata stamattina all’alba l’operazione Coccodrillo nell’ambito della quale, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, il gip Valeria Isabella Valenzi ha emesso un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per Lobello, accusato di concorso esterno con la ‘ndrangheta, trasferimento fraudolento di valori, intestazione fittizia, estorsione, riciclaggio e autoriciclaggio.
Atri sei soggetti tra dipendenti e intestatari fittizi sono finiti agli arresti domiciliari. Si tratta di Antonio e Daniele Lobello, Francesco Iiritano, Domenico Rotella, Anna Rita Vigliarolo e Vincenzo Pasquino. È stata disposta, infine, l’interdizione del divieto temporaneo ad esercitare la professione per un anno nei confronti degli indagati Pasquale Torchia, Pasquale Vespertini e Vitaliano Maria Fulciniti. Questi ultimi erano “i ragionieri del gruppo Lobello” e ricevevano istruzioni dal principale indagato “per effettuare movimentazioni sui conti correnti tra le varie società del gruppo, allo scopo di non lasciare liquidità su alcune società più a rischio di sequestri e pignoramenti”.
Stando all’inchiesta, coordinata dal procuratore Nicola Gratteri, dall’aggiunto Vincenzo Capomolla e dai pm Debora Rizza e Veronica Calcagno, i ragionieri “mantenevano il controllo contabile e finanziario delle diverse imprese effettuando, all’occorrenza, le movimentazioni bancarie necessarie ‘per far quadrare i conti’”. Il dominus era sempre Giuseppe Lobello detto Pino che, assieme al padre Antonio e al fratello Daniele, ha realizzato un sistema di società, formalmente intestate a terzi al fine di sottrarre il proprio patrimonio aziendale all’adozione di prevedibili misure di prevenzione antimafia.
Pino Lobello era il “punto di riferimento per la cosca Arena”. Il pentito Santo Mirarchi lo ha definito “un imprenditore ‘intoccabile’ che, seppur tenuto a corrispondere somme di danaro alla cosca isolitana, era deputato alla raccolta di proventi estorsivi versati dagli imprenditori che consegnava direttamente ai vertici dell’associazione”. L’obiettivo per i Lobello, ritenuti “soggetti contigui ai clan Mazzagatti di Oppido Mamertina e Arena di Isola Capo Rizzuto”, era quello di “schermare il patrimonio sociale”.
Alcune loro aziende erano state attinte da interdittiva antimafia e gli imprenditori nutrivano il concreto timore di subire il sequestro delle società del gruppo, essendo emersi, più volte, a livello giudiziario i loro rapporti con cosche ‘ndranghetiste. Il sequestro è arrivato stamattina. Assieme all’ordinanza di custodia cautelare, infatti, il gip ha disposto i sigilli ai beni dei Lobello per un valore di 50 milioni di euro. La guardia di finanza, infatti, ha sequestrato le società, di fatto riconducibili ai tre imprenditori, e oggetto di intestazioni fittizie: Strade Sud Srl, Trivellazioni speciali Srl, Consorzio Stabile Zeus e Consorzio Stabile Genesi, tutte operanti nel comparto dell’edilizia pubblica e privata e aggiudicatarie di numerosi appalti pubblici. È stata infine, la Marina Café Srls, attiva nel settore della ristorazione.
A proposito di questa azienda, dalle intercettazioni registrate dalla guardia di finanza è emerso pure un episodio di estorsione nei confronti di un lavoratore dipendente costretto ad auto licenziarsi contro la sua volontà da una società fittiziamente intestata ad Annarita Vigliarolo, per incomprensioni sorte sul luogo di lavoro con i familiari di Giuseppe Lobello. “Domenico ti devi licenziare. Entro oggi, massimo domani ti devi licenziare! Non mi tenere al telefono”. Con questa frase l’imprenditore aveva ordinato al dipendente della Marina Café Srls di “presentare le dimissioni, pena il pagamento di un importo pari a 1500 euro. – di legge nell’ordinanza – Ciò al fine di evitare il pagamento del ‘ticket di licenziamento’ che Lobello Giuseppe avrebbe dovuto versare per far percepire al dipendente licenziato l’indennità di disoccupazione NASpI 2018 prevista dalla riforma Fornero”.
Incrociando le dichiarazioni dei pentiti e le intercettazioni emerse nelle diverse inchieste antimafia, la Dda di Catanzaro è riuscita a ricostruire addirittura l’incontro che Giuseppe Lobello e il boss di Cutro Nicolino Grande Aracri il quale gli avrebbe detto: “Non ci conoscevamo – sono le parole del boss all’imprenditore – però vedi di te mi hanno tutti parlato bene… con chi ho parlato parlato tutti in bene”. I pm non hanno dubbi: Giuseppe Lobello, “pur non facendone parte” è un concorrente esterno “nell’associazione di ‘ndrangheta denominata cosca Arena” alla quale – si legge nel capo di imputazione – avrebbe fornito “attraverso condotte attive, un contributo concreto, specifico e volontario per la conservazione e il rafforzamento della capacità organizzativa dell’associazione, con la consapevolezza dei metodi e dei fini dell’associazione stessa”. “Il legame stretto con gli Arena” ha consentito, infine, a Lobello di ottenere “una posizione dominante nell’esecuzione di lavori edili su Catanzaro, ovvero la protezione da interferenze estorsive, di altri gruppi criminali, presso i cantieri relativi ai lavori eseguiti e presso l’impianto di calcestruzzo dell’impresa”.