Il 24 febbraio scorso il giornalista Rai, indagato per traffico di influenze, era stato raggiunto dalla misura di divieto temporaneo dell’attività di impresa e divieto di ricoprire incarichi con interdizione dello svolgimento di tutte le attività collegate. Il gip ora ha accolto l'istanza dei suoi difensori, revocando anche gli arresti domiciliari per il trader Solis
Mario Benotti può tornare a svolgere attività di impresa. Lo ha deciso il gip Andrea Taviano dopo l’istanza presentata dai difensori, disponendo la revoca della misura interdittiva per il giornalista Rai e per altri tre indagati nell’ambito dell’inchiesta della Procura di Roma sull’acquisto di 800 milioni di mascherine per l’emergenza Covid. Revocati anche gli arresti domiciliari per il trader ecuadoriano Jorge Solis. Il 24 febbraio scorso Benotti, indagato per traffico di influenze, era stato raggiunto dalla misura di divieto temporaneo dell’attività di impresa e divieto di ricoprire incarichi o uffici in persone giuridiche o imprese, con interdizione dello svolgimento di tutte le attività collegate.
L’inchiesta, condotta dalla Guardia di finanza, riguarda gli affidamenti, per un valore complessivo di 1,25 miliardi di euro, effettuati dall’allora Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19 Domenico Arcuri – estraneo all’inchiesta – a favore di 3 consorzi cinesi per l’acquisito di oltre 800 milioni di mascherine di varie tipologia, effettuate con l’intermediazione – non contrattualizzata dalla predetta Struttura – di alcune imprese italiane, la Sunsky srl di Milano, la Partecipazioni spa, la Microproducts IT Srl e la Guernica Srl di Roma.
Stando alle indagini, a fronte dell’attività di intermediazione e dei connessi affidamenti, le società hanno percepito commissioni per decine di milioni di euro dai consorzi cinesi risultati affidatari delle forniture di mascherine chirurgiche, FFP2 e FFP3. Le misure cautelari personali fanno seguito ai sequestri preventivi disposti – anche in via d’urgenza – nelle settimane scorse per un importo complessivo di circa 70 milioni di euro. Per i pm, si leggeva nel decreto di sequestro, “la conclusione dei contratti” fra la struttura commissariale e i fornitori cinesi “trova unico fondamento nella moral suasion operata da Benotti, sulla sola base del rapporto personale tra lo stesso ed il commissario Arcuri”.