Al centro dell’inchiesta, ribattezzata 'Perseverance', ci sono esponenti di famiglie storicamente legate alla cosca Grande Aracri di Cutro. Il progetto per sfregiare una donna risale al novembre 2019, ma è stato scongiurato solo dall’intervento della polizia reggiana che, attraverso perquisizioni, ha indotto i mandanti ad abbandonare l'obiettivo per il timore degli inquirenti
“Ragazzi c’è da fare una lavorettino, se vi interessa eh (…) c’è da picchiare una donna…”. Risposta: “E che dobbiamo fare? Dobbiamo darle dei pugni?”. No, “la mandate in ospedale…o le buttate un po’ di acido sulla faccia”. E ancora: “Dev’essere sfregiata?“. “Bravo, solo la faccia però. Le butti l’acido addosso e te ne vai”. Discutevano di questo nel novembre 2019 Giuseppe Friyo, Domenico Cordua e un terzo uomo, tutti indagati nell’ambito dell’inchiesta sulla ‘Ndrangheta in Emilia Romagna condotta dalla Dda di Bologna che ha portato a nove arresti e a una misura interdittiva. Gli interlocutori di Cordua, sottolinea il gip Alberto Ziroldi nell’ordinanza cautelare, nell’intercettazione hanno dei dubbi sul da farsi ma si dimostrano interessati, al punto di informarsi sull’eventuale compenso e sul luogo dove poter compiere l’azione. A un certo punto si sente la voce del terzo interlocutore dire: “L’acido sai cosa le fa? Che dagli occhi non vede più”. Cordua: “Bravo… e quello devi fare”. L’altro uomo: “Quello è già… come morte!”. Friyo: “L’hai rovinata! L’hai rovinata”. Il terzo uomo: “Eh, l’hai rovinata, eh, meglio sparare che rovinarle la vita”.
Al centro dell’inchiesta, ribattezzata ‘Perseverance’, ci sono esponenti di famiglie storicamente legate alla cosca Grande Aracri di Cutro ma operante in autonomia, con “enorme capacità di infiltrazione nei settori centrali della economia e della vita civile”, sottolineano gli inquirenti. La polizia di Reggio Emilia e i carabinieri di Modena hanno eseguito dieci misure cautelari: sette arresti in carcere, due domiciliari e una misura interdittiva, disposte dal Gip di Bologna su richiesta della Dda. L’accusa è associazione di tipo mafioso finalizzata, tra l’altro, all’attività di recupero credito di natura estorsiva e al trasferimento fraudolento di valori mediante l’attribuzione fittizia della titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità. L’obiettivo del gruppo, sottolineano gli investigatori, era quello di eludere le leggi in materia di misure di prevenzione patrimoniali, o di agevolare la commissione di riciclaggio e di reimpiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita, anche tramite falsità ideologiche in atti pubblici commesse da pubblici ufficiali e da privati. In mattinata sono state condotte 35 perquisizioni nelle province di Reggio Emilia, Modena, Ancona, Parma, Crotone, Milano, Prato, Pistoia e Latina. Gli indagati sono in totale 29.
Nell’inchiesta sono coinvolti esponenti ancora in libertà di famiglie già colpite dall’operazione ‘Aemilia’, lo storico processo contro la ‘Ndrangheta in Regione. Si tratta in particolare di Giuseppe Sarcone Grande, fratello di Nicolino, Gianluigi e Carmine, già arrestati e condannati come esponenti della ‘ndrangheta emiliana e Salvatore Muto, fratello di Luigi e di Antonio, entrambi condannati anche di recente dalla Corte d’Appello di Bologna, nel processo Aemilia. Rimasto in libertà, avrebbe proseguito l’attività illecita dei fratelli, mettendo tra l’altro in contatto per affari illeciti la cosca emiliana con un’insospettabile coppia di cittadini modenesi “incensurati e spregiudicati”. I due si sarebbero affidati al gruppo proprio per fare del male a una donna, considerata un ostacolo per l’acquisizione di un patrimonio. L’azione è stata scongiurata solo dall’intervento della polizia reggiana che, attraverso perquisizioni, ha indotto i mandanti ad abbandonare l’obiettivo per il timore degli inquirenti.
I due, in un’altra occasione, avrebbero anche chiesto alla consorteria di recuperare una somma di denaro, due milioni di euro secondo le intercettazioni, di probabile provenienza illecita. Muto si sarebbe rivolto quindi a Domenico Cordua e Giuseppe Friyio: i due si sarebbero appostati fuori dalla casa del debitore, in Toscana, e gli avrebbero consegnato documenti sul presunto credito, accompagnati da foto di suoi stretti parenti, con intento intimidatorio. E’ seguito quindi un intervento, in difesa della vittima, da parte di una persona che si è presentata come referente di un altro gruppo calabrese. A quel punto sarebbe entrato in scena, “con azione che si è svolta con dinamiche tipicamente mafiose”, per gli inquirenti, anche Giuseppe Sarcone Grande.